LIGURIA, ANNO DOMINI 2024: TRA GRANDUCATO DI MILANO, REPUBBLICA DI GENOVA E PRINCIPATO DI ONEGLIA. PROFEZIA DI MIGLIO SI AVVERA

26 Ottobre 2024
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di Luigi Basso – La profezia del professor Gianfranco Miglio si è avverata sotto i nostri occhi: la frammentazione dell’Italia si sta realizzando ricalcando puntualmente le faglie degli antichissimi Stati preunitari.

E’ pertanto di grande aiuto, per capire ciò che accade, leggere le vicende attuali in chiave di metafora rifacendosi all’epoca medioevale: il caso ligure ne è una plastica dimostrazione.

La frammentazione feudale della Liguria è paradigmatica della esattezza della (pre)visione del professor Miglio, che aveva visto giusto arguendo che la cariocinesi italiana non sarebbe avvenuta preservando l’integrità delle attuali Regioni, proprio poiché queste sono una semplice invenzione amministrativa e non hanno alcuna radice storica, ma si sarebbe mossa lungo lo schema dei secolari Stati preunitari (sui danni causati dalla confusione tra autonomismo e regionalismo si potrebbe scrivere un trattato, ma questa è un’altra storia).

La frammentazione feudale della Liguria è, dicevamo, sotto gli occhi di tutti: gli enti intermedi (partiti, sindacati, associazioni di categoria, etc) non hanno più alcun peso, ciò che conta è solo il rapporto tra ras locali e clientes, un legame fiduciario e personale tipico appunto del feudalesimo talmente evidente che, per fare un esempio, da alcuni anni moltissimi candidati si spostano indifferentemente da un partito all’altro portando intatto il loro bagaglio di voti, giacché non si tratta, per l’appunto di spostare elettori, ma clientele; oramai chi non è “cliente” non va a votare, semplicemente perché partiti, ideologie e idee sono eclissati e le schiere degli astenuti aumentano vistosamente ad ogni elezione.

Ed ecco, così, che nella vita pubblica ligure si stagliano figure che sembrano riemergere proprio dal passato preunitario: dogi, principi, signorotti, vassalli, valvassini ed aspiranti a tali ruoli.

Ad osservare l’andamento elettorale e istituzionale, si possono scorgere figure simili per antonomasia ai Dogi di una Repubblica marinara.

E non è un caso, ma una precisa ripetizione storica, che vi siano anche “dogi” che arrivano da fuori regione, “foresti”, come spesso accadeva nel Medioevo, magari “calati” dal vicino Granducato di Milano.

E non è di nuovo un caso, ma una esatta ripetizione storica, che il Doge foresto ponga fin da subito la Repubblica marinara nell’orbita lombarda, come già accadde nel Medioevo, coadiuvato nell’opera dai solerti leghisti liguri, comandati e teleguidati nella loro missione, ça va sans dire, prima da un Governatore della Lombardia e poi da milanesissimi segretari di partito.

Con la subordinazione di Genova alla sfera di influenza di oltre Turchino pervade platealmente ogni settore vitale: la sanità è direttamente affidata a manager lombardi che “calano” in Liguria in gran numero; le infrastrutture liguri vengono dimenticate fino alla ostentata trascuratezza, tranne quelle gradite al Granducato (si pensi al costosissimo Terzo Valico, studiato per rendere Genova e Milano una unica Metropoli ed il Porto di Genova un hub milanese), imprese lombarde arrivano a frotte con interessi nei settori più svariati: cimiteri, stadi da calcio, palazzetti dello sport, parchi eolici, etc.; le più famose Università milanesi forniscono gran parte del personale che va a formare l’intellighenzia dei Dogi.

Inevitabilmente, verrebbe da dire con Miglio, si assiste alla frattura spettacolare tra Genovesato e Ponente Ligure, frattura incarnata splendidamente dalla figura di un personaggio ideale ad interpretare il ruolo del Signore, sia esso un ex ministro che un ignaro proprietario di abitazioni fronte monumenti romani.

Capita che ex big della politica nazionale, finiscano col fare i sindaci del più piccolo capoluogo di provincia ligure, ma un doge, che promuovendone l’elezione a Presidente di una Provincia ligure e nominandolo Commissario dell’ATO idrico sembra dirgli “Occupati tu di questi territori, che per il Granduca sono solo un impiccio”, lo eleva de facto al rango di Signore locale, facendone un novello Domenicaccio Doria, il famoso Principe di Oneglia cinquecentesco (per un curioso scherzo della storia, che spesso gioca con le rime, le famiglie di entrambi i principi sono “foreste”, non originarie di Oneglia, oggi Imperia).

La frammentazione procede dunque per via cariocinetica sulla falsariga degli antichi Stati e la prematura fine della Signoria di un doge ha creato un vistoso vuoto di potere, aprendo così le porte ad una feroce guerra di successione che è stata solo “tamponata” e non risolta dalla candidatura di un altro politico, decisa a Roma così come accadeva nel Medioevo allorquando i Papi facevano spesso da arbitri nelle contese feudali.

E così, oggi come allora, nel vuoto della politica genovese, che non è in grado di trovare un nuovo doge, ritorna la contrapposizione storica tra Granducato di Milano e Principato di Oneglia: la contrapposizione sfocerà in “guerra” come nel Medioevo oppure i due poteri troveranno un’intesa?

La tendenza si capirà, in caso di vittoria del centrodestra alle regionali, guardando a colui che andrà a ricoprire il ruolo delicatissimo di vice presidente della Regione: sarà un uomo del Granduca o un parente del Principe di Oneglia oppure una figura di compromesso?

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Direttrice: Stefania Piazzo
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