di Raffaele Piccoli – Davide Baruffi, componente della segreteria nazionale del PD e assessore al bilancio della giunta De Pascale, ha dichiarato che il percorso dell’Emilia-Romagna verso l’autonomia differenziata, non è solo sospeso, come in molti speravano, ma precluso e concluso. La giunta chiede all’assemblea legislativa di assumere tutti gli atti necessari finalizzati alla revoca definitiva della risoluzione.
L’iniziativa verso l’autonomia prevista dall’art 116 della Carta, fu presa nel 2018 dall’allora governatore Bonaccini, che a seguito dei referendum di Lombardia e Veneto (richiedenti maggiori autonomie) decise in accordo con Maroni e Zaia (e con l’assenso della totalità dell’assemblea) di mettersi sulla medesima linea delle altre regioni Padane, sottoscrivendo un accordo con il governo Gentiloni al fine di avere autogoverno su nove materie previste dalla Costituzione.
E’ utile ricordare che in quella fase politica la lega di Salvini, veleggiava su percentuali superiori al 30% anche in Emilia-Romagna, e il Pd temeva fortemente di perdere la regione simbolo.
Non è un caso che la decisione della giunta sia quasi contemporanea con la sottoscrizione delle intese raggiunte con la Toscana, finalizzate ad accrescere la collaborazione su molte materie, nell’ottica di una futura probabile integrazione interregionale.
I tempi e la qualità di queste scelte, suscitano più di una perplessità. Per quale motivo una regione produttiva e avanzata dovrebbe rifiutare le opportunità (seppur limitate) offerte dalla Costituzione di avere maggiori attribuzioni. E per quale motivo intraprendere una strada di collaborazione e coordinamento, limitando le competenze (e i fondi da richiedere) quando al contrario sarebbe stato possibile avere più materie su cui costruire una base più ampia e migliore?
Allo stato non vedo risposte plausibili. L’unica motivazione possibile deriva dalle direttive politiche della segreteria nazionale, che obbliga la periferia a seguire un iter comportamentale predefinito, anche a scapito dell’interesse dei territori.
In sostanza l’opposizione, e il sindacato, condividono una sola linea politica. E’ fondamentale il mantenimento dello status quo a prescindere, difendendo le rendite di posizione acquisite. Va anche detto però, che le opposizioni in Italia hanno quasi sempre mantenuto linee di comportamento simili.
Tornando al merito degli accordi intercorsi, tra i governatori delle due regioni Giani e De Pascale, è utile rimarcare la totale assenza di accenni (seppur generici) alla necessità di creare aree amministrative omogenee nell’ottica della sussidiarietà.
Esiste da anni, un movimento (M.A.R) che chiede la separazione della Romagna dall’Emilia. La Romagna infatti, contesta diverse scelte della Regione, finalizzate spesso a favorire aree più centrali rispetto ad altre. A Costituzione vigente sarebbe molto difficile se non impossibile la creazione di nuove regioni, ed è per questo che un patto di integrazione non può prescindere dal prendere in considerazione queste istanze.
Alle ultime elezioni l’affluenza è stata al 46,4%, ma in passato il partito che nelle sue varie forme ha governato la Regione per oltre 50 anni, spesso con maggioranze bulgare, si è sempre ben guardato dal prestare la necessaria attenzione alle richieste provenienti sia dalla Romagna, che da altri territori, non essenziali.
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LA REPLICA
Caro Raffaele, non demonizzerei la scelta di costruire un asse regionale tra Emilia Romagna e Toscana, bypassando il percorso fallimentare e con troppi passaggi romani della cosiddetta autonomia differenziata.
Io penso, invece, al contrario, che lasciar perdere la fumosa legge Calderoli, frutto di compromessi, passaggi ulteriori in Parlamento, vincoli sottoposti al parere esclusivo del governo che può togliere quando vuole quello di cui le regioni hanno bisogno, sia un atto politico intelligente.
Due regioni forti hanno deciso di intraprendere quella strada che tutti si sarebbero aspettati in 20 anni di governo tra Lombardia e Veneto. Lo fanno due regioni di centrosinistra, e non per tradire, per come la vedo io, l’autonomia, ma perché è più veloce e pratico accordare un territorio omogeneo come pensava in origine Guido Fanti, e pure Gianfranco Miglio, attraverso patti e unione di forze con un’idea di fondo di macroregione.
Pensa se loro assieme magari, ad esempio, alle Marche, sottoponessero come prevede la Costituzione, un referendum per una macroregione del Centro. Non importa quando possa accadere, ma il modello è quello.
La Lega, invece, ha fallito. Ha fallito su tutto. Aspettano il congresso, e le elezioni regionali venete, per inventarsi qualcosa di nuovo o aprire bocca?
il direttore