di Cuore verde – Il federalismo è ormai scomparso da molti anni dal dibatto pubblico e politico. Si avverte che la parola “federalismo” è ormai diventata soltanto un’espressione retorica che non può trovare certo la sua forma compiuta in un decentramento variamento declinato in forme di autonomia differenziata, orizzontale o verticale, gentilmente concesse dal potere centralista.
Franco Monteverde (1933-2019), noto esponente della politica e della cultura locale ligure nel suo”Liguria Sovrana: una proposta per uscire dalla crisi politica di Genova” (ed. De Ferrari, 1999), prendendo spunto dai risultati delle elezioni comunali di Genova del 1997, espone alcune interessanti osservazioni sulle diversità delle patrie dei popoli dello stato italiano. Ecco alcuni passaggi tratti dallo stesso testo che ritengo possano delineare abbastanza chiaramente la proposta politica di Monteverde: passare dalle regione amministrativa allo stato sovrano ligure nell’ambito di un ordinamento federale che superi ogni ambigua forma di decentramento ricollegandosi alla storia della Repubblica di Genova e all’identità etno-culturale ligure.
Il decentramento centralista produce soltanto burocrazia
“Il pericolo nasce dallo scarto tra i processi reali di mutamento della società e la coscienza che di loro ha la classe politica, al punto che essa induce tutti ad accettare passivamente il disordine del quotidiano considerandolo ormai parte della normalità, purché sia gestito dalla burocrazia (1). (…) Si sfrutta anche l’equivoco di un decentramento di funzioni di Roma verso le periferie, o dai capoluoghi di regioni verso provincie e comuni, solo perché ritenuto ormai indispensabile per oliare gli ingranaggi sempre più arrugginiti, facendolo passare per una gara conquista di libertà. Ma il decentramento (…) lungi dal risolvere il problema dell’efficacia ed efficienza della mano pubblica, non sa che trasferire ad un livello più basso una forma di gestione perversa, burocratizzando le azioni amministrative anche dei più piccoli comuni (2)”
Uscire dal modello centralista alla “francese”
“Meglio tornare a quella common law, che per secoli aveva amministrato con risultati apprezzabili buona parte della penisola italiana e la maggioranza delle terre liguri, tranne quelle soggette ai Savoia, e ricostruire lo Stato italiano respingendo l’idea che debba essere aggiornato sull’esempio francese. Non ha più senso riconoscere alla mano pubblica il monopolio della produzione di norme, visto che i mutamenti sempre più rapidi dei mercati e delle tecnologie rendono obsolete gran parte delle disposizioni pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale o sulle gazzette regionali in un brevissimo lasso di tempo. Oggi qualunque cosa faccia una pubblica amministrazione, provoca una retroazione negativa istantanea, un fenomeno evidente a tutti, compresi gli ardenti sostenitori dello statalismo, ma senza che nessuno voglia prenderne atto per imboccare una strada diversa (3).”
L’incapacità del centralismo legislativo di seguire le dinamiche della realtà
“Dopo l’alluvione normativa napoleonica, che aveva sommerso le consuetudine, gli stati della Restaurazione dapprima, lo stato unitario successivamente, avevano trovato comodi recuperare un principio di legalità scosso da tanti avvenimenti rivoluzionari e controrivoluzionari, aggrappandosi al modello francese e savoiardo. Si venne così a confondere i sentimenti d’appartenenza alla patria italiana con l’obbedienza allo Stato, l’adesione ad un destino collettivo con la dedizione alla corona, sola titolare di una potestà legislativa che i giacobini avevano attribuita alla nazione. Si volle unificare la penisola sottomettendola ad una sola fonte legislativa, finendo per subordinare l’interpretazione delle norme al loro testo letterale, che si è dimostrato incapace di seguire le dinamiche della realtà. Quel modello, pensato e imposto da classi dirigenti che si consideravano moralmente superiori alla società ed ai singoli cittadini, è in fondo ancora oggi alla base delle programmazioni contemporanee, che hanno anch’esse mostrato ripetutamente la loro incapacità a seguire l’evoluzione della società e dei mercati. (…) Nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, il contrasto tra norme scritte e il concreto operare dei singoli e delle imprese era visibile come oggi, tuttavia la società, prevalentemente contadina, si modificava con cadenze tanti lente da assorbire i contrasti con le norme senza gravi scompensi (4).”
L’oligarchia di comando centralista non svolge più un ruolo positivo
“Orbene l’oligarchia di comando che gestisce in Italia il potere non svolge più un ruolo positivo; anche se è riuscita a portare l’Italia nella Comunità Europea, ha mantenuto intatto un sistema di potere che è ormai un freno per la società e per le basi stesse dell’economia. (…) Solo degli enti locali e una regione finalmente liberati dall’egemonia del proceduralismo e dal centralismo possono essere identificati come le sedi “naturali” di un diverso ordine in cui abbiano accoglienza relazioni sociali e rapporti giuridici basati sulla scambio di conoscenze, di informazioni, oltre che di beni e servizi e che costituisca la diretta manifestazione delle libertà individuali e comunitarie (5). (…) Non bisogna aver paura di dar vita a uno Stato ligure sovrano, anche se piccolo dal punto di vista territoriale; esistono tra i liguri potenzialità di lavoro ed una immaginazione creativa che sono sufficienti per farli vivere dignitosamente, compresi gli sfortunati: occorre solo che venga loro assicurata la piena responsabilità di darsi da fare (6).”
Il federalismo non è il decentramento centralista
“Purtroppo gli uomini politici, anche i più sensibili, pensano ancora alle riforme come ad un processo indolore, che avvii il decentramento, in quanto sono spaventati dal federalismo, che porterebbe al rovesciamento della clessidra del potere (7). (…) “E’ naturale che nei palazzi romani – ma anche nelle stanze del potere che sono sparse per la Liguria – si faranno le barricate per ridurre il federalismo a decentramento (…) per difendere un ruolo di superiorità gerarchica cui non corrisponde alcuna funzione utile per la collettività. Per coloro che fanno parte dell’oligarchia, infatti, l’Italia-una non è una patria, ma o un collegio elettorale, o come afferma Sergio Romano nei fondi del Corriere, un datore di lavoro e la ragione sociale di un mestiere gestito in forma monopolistica. Al mito dell’Italia-una sono interessati senatori terrorizzati dalla fine del bicameralismo, dirigenti di partiti spaventati dalla possibile nascita nelle regioni economicamente più forti di forze politiche autonome a loro concorrenziali, sindacalisti incapaci di giustificare una presenza “trina” nata come dipendenza da partiti che non esistono più, funzionari di ministeri e di enti parastatali che vedono con angoscia l’estendersi nelle periferie – tali per loro sono anche Milano, Torino o quel fastidioso Nord-Est – della volontà di riappropriarsi delle risorse pubbliche, gestite finora in proprio in tutta discrezione, permettendo loro di essere potenti e diventare ricchi. (…) Il recupero di antiche identità non deve spaventare, l’identità di un popolo è, non meno di quella individuale, un intreccio di radici etniche che traggono alimento dalle tradizioni, dalla geografia, dall’economia, dalle tradizioni religiose, giuridiche e politiche, ma soprattutto dagli scambi. Per etnia non si intende un dato razziale, ma culturale, è proprio l’esistenza nella penisola di una così straordinaria varietà di etnie che rende indispensabile uno stato federale, che non è che il frutto di un patto tra popoli che accettano un progetto politico comune. Battersi per il federalismo, quindi, appare la rotta giusta per chi intende liberarsi dell’oppressione dell’oligarchia al potere per costruire una nuova nazione, sempre italiana, ma composta di tanti popoli quante sono le etnie che decidono di esistere politicamente in forma autonoma. (8)”
Recuperare la continuità storica della Repubblica di Genova per un’evoluzione federalista della società ligure
“Anche a Genova, e presso le altre comunità della Liguria che intendano federarsi tra di loro, è possibile per dar vita ad uno stato ligure che sia il frutto di un foedus, di un arrangiamento che sia steso da un’Assemblea Costituente che sia espressione della volontà popolare. (…) Se non si trova in Italia un partito, o uno schieramento politico che sia capace di dar vita ad uno stato sovrano ligure, prendano allora in mano i genovesi e i liguri in mano il vessillo delle riforme, creino un nuovo movimento autonomista che alzi le vele per riappropriarsi di una patria in cui credere e di uno stato di cui fidarsi. Si riprogetti lo Stato, facendolo si misura delle necessità delle comunità che intendono far parte; verso questo Stato, che avrà i tratti di un arcipelago di libere città, com’è avvenuto in Svizzera secoli fa, si rivolgeranno allora nuovi sentimenti patriottici, in cui la nazione italiana, non sarà più una, ma plurima. (…) Si faccia appello all’immaginazione creativa; se Genova e gran parte della Liguria durante i secoli dell’Età Moderna, hanno avuto libertà e diritti che sono stati perduti dopo la caduta della loro Repubblica, recuperarne la continuità storica può essere un solido ancoraggio, come lo è stato per i catalani, anche per coloro che si schierano per un’evoluzione in senso federalista dell’intera società (9).”
Lo spazio politico come luogo mentale
“Nel Medioevo una comunità di mercanti, quella genovese, nella lotta per farsi riconoscere uno status di libertà sia dall’Impero, sia dalla Chiesa, e per farsi rispettare dai tanti predoni del mare, diede vita a un luogo mentale prima ancora che politico, il libero Comune, poi diede vita, nel Cinquecento, ad un secondo luogo mentale, la Repubblica. Si trattava sempre di uno spazio politico che comprendeva non la sola città di Genova, come molti oggi si ostinano a ritenere, ma anche un arcipelago di comunità che si propone una finalità prioritaria, quella di affermarsi in un universo politico e culturale in via di rapida trasformazione (10).”
Per ricostruire la patria ligure occorre recuperare l’identità
“Se ciascuno di noi non riuscirà a recuperare il sentimento di appartenenza alla proprio terra, che è un ad tempo genovese, ligure, italiana ed occidentale, i governi, comunale, nazionale ed europeo, appariranno estranei se non nemici e gli altri appariranno dei nemici, impedendo quel rifiorire della solidarietà tra gli individui che è alla base della partecipazione democratica. Se immersi in una umanità in cui ogni individualità culturale verrà annegata, non riusciranno i liguri a recuperare una patria ad un tempo continentale e locale, mentre saranno sempre più al traino di un amico potente, gli U.S.A., che non difende solo i propri interessi ed un ruolo egemonico che non ci piace, ma che è l’unico soggetto politico che difende quei valori di libertà e di sicurezza collettiva di cui anche noi abbiamo bisogno. Per ricostruirci una patria, dobbiamo recuperare una identità mentale perduta, per poi legare ad essa la creazione di uno Stato inserito nel contesto dei popoli italiani ed europei, facendo tesoro dei lasciti culturali della Repubblica di Genova che per secoli aveva saputo difendere la propria libertà e i propri interessi senza disporre né di un esercito, né di uno stato forte né di una burocrazia. (11)”
Le parole di Franco Monteverde rimarranno ancora confinate nei dibattiti e nei convegni organizzati dai circoli culturali oppure, dopo le elezioni regionali, entreranno finalmente nell’agenda politica ligure?
CUOREVERDE
(seconda parte – fine)
1-Franco Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 160
2-Monteverde, Liguria Sovrana: una proposta per uscire dalla crisi politica di Genova, De Ferrari Editore, Genova 1999. pag. 146
3-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 147
4-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 148
5-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 150
6-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 154
7-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 155
8-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 156
9-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 157
10-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 158
11-Monteverde, Liguria Sovrana…cit. : pag. 159