Gli strateghi sovranisti internazionali della Lega contestano Draghi: “Un disastro”

10 Settembre 2024
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“Che occorra cambiare rotta nell’Unione Europea è un fattore positivo: tuttavia , quelle di 
Draghi sono dichiarazioni che lasciano spazio a interpretazioni che a noi non convincono più di tanto Ci saremmo aspettati un po’ più di coraggio, anche sul tema energetico: perché i prezzi sono così elevati? obiettivo ambizioso di eliminare le fonti fossili senza prima essere sicura di avere tutti gli approvvigionamenti di fonti energetiche alternative. Anche il fatto di non aver accennato minimamente all’immigrazione è un aspetto che noi abbiamo messo in discussione”. Lo ha dichiarato Massimiliano Romeo capogruppo della Lega al Senato, ospite a Start su Sky TG24.

 “Il rapporto Draghi di base va nella direzione opposta rispetto a quella che secondo me dovrebbe andare l’Europa”. Il leghista Claudio Borghi è netto nel commentare la relazione dell’ex premier ed ex presidente della Bce. Intervistato da Affaritaliani.it, il capogruppo della Lega in commissione Bilancio al Senato afferma: “Da Draghi abbiamo sentito la solita propaganda dell’accentramento europeo e della condivisione delle risorse finanziarie togliendo così sovranità agli Stati membri. Una posizione che certamente non vedrà d’ accordo molti Stati del Nord Europa e che, per motivi opposti, non dovrebbe trovare consensi nemmeno in Italia”. “Non si sa nemmeno che cosa sia il rapporto 
Draghi, è un’opinione come tante”, risponde Borghi alla domanda se il governo Meloni deve opporsi. “Ma nel momento in cui alcune di queste proposte dovessero essere messe in votazione – osserva – andrebbero combattete con la massima energia dall’Italia e parleranno soprattutto della più pericolosa proposta di Draghi ovvero quella di abbandonare il sistema dell’unanimità per le decisioni e passare a quella a maggioranza qualificata. L’Italia verrebbe così privata anche del diritto di veto e l’Unione europea potrebbe imporci qualsiasi decisione, pensando ad esempio al Mes che verrebbe imposto senza poter dire di no europei un partito che si chiamava Stati Uniti d’Europa e ha preso l’1%. Ecco, il 99% degli italiani è contrario”, conclude Borghi. 

Ma cosa aveva detto l’ex governatore della Bce ed ex premier?

 Se vuole evitare una ”lenta agonia”, l’Unione Europea deve cambiare ”radicalmente”. L’ex presidente della Bce Mario Draghi ha presentato oggi a Bruxelles il suo atteso rapporto sul ”futuro della competitività europea”, che inizialmente avrebbe dovuto essere presentato nel giugno scorso, subito dopo le elezioni europee. Un rapporto che è improntato alla ”concretezza” e all”’urgenza”, ha spiegato l’ex premier nella sala stampa di palazzo Berlaymont. Un rapporto ”granulare”, che contiene ”circa 170 proposte”, solo per menzionare quelle ”generali”, senza contare quelle ”specifiche”. Proposte che, ha rimarcato, possono essere attuate ”immediatamente”. Un rapporto, quello di DRAGHI, che a Bruxelles era molto atteso, ma anche temuto in alcune direzioni generali della Commissione. Non a caso la presentazione è slittata più volte: prima a dopo le elezioni europee e, poi, dopo la rielezione di Ursula von der Leyen a Strasburgo, avvenuta a metà luglio. Interrogato sulle ragioni del ritardo, l’ex presidente della Bce ha detto che non ci sono ”motivi particolari”, se non il fatto che il nuovo Parlamento Europeo non si era ancora insediato. Anzi, ha detto, ”due mesi” di tempo in più gli hanno dato modo di rendere il rapporto ancora più completo (consta di un’introduzione di una sessantina di pagine e di un ‘corpus’ di oltre 300 pagine). In realtà, il motivo dei ripetuti rinvii è semplice: quella di DRAGHI è una voce che a Bruxelles pesa. Eccomi. Il funzionario pubblico che ha salvato l’euro è abituato a parlare chiaro e oggi in conferenza stampa si è capito benissimo come la pensa. ”Tra il 2019 e oggi – ha detto – abbiamo prodotto qualcosa come 13mila testi legislativi, mentre gli Usa nello stesso tempo ne hanno prodotti 3mila. E’, diciamo, una cosa che fa pensare: possiamo fare un po’ di meno ed essere un po’ più focalizzati?”.

Non solo. Come già aveva fatto Enrico Letta, che nel suo rapporto aveva stigmatizzato i risultati opinabili che la politica Ue di tutela spinta della concorrenza ha avuto sull’industria europea delle telecomunicazioni, molto più frammentata di quella Usa, DRAGHI ha sottolineato che la politica di concorrenza Ue dovrebbe essere più ”lungimirante”. E, interrogato sulla celebre bocciatura decretata dalla Dg Comp della progettata fusione Siemens-Alstom, ha notato che oggi la Cina potrebbe benissimo ”importare” in Europa ”treni ad alta velocità”, quindi, forse, sarebbe il caso di guardare al ”mercato unico”, anziché ai singoli mercati nazionali. E, ”ovviamente”, la Dg guidata negli ultimi dieci anni dalla danese Margrethe Vestager potrebbe essere un po’ più rapida: ”Non dovrebbe volerci così tanto tempo per prendere una decisione e ottenere una risposta, quando si invia una lettera’ ‘, ha sferzato. 


Draghi  ha però precisato che il suo rapporto non invoca la “difesa di campioni nazionali”. L’ex presidente della Bce ha anche spiegato che testi legislativi che vengono annoverati dal Parlamento Europeo tra i propri fiori all’occhiello, il regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) e l’Ai Act, rischiando di essere ”autolesionisti” , dato che colpiscono le imprese europee che lavorano nel settore tecnologico, per le più piccole. La produzione legislativa Ue in questi ambiti, ha rimarcato DRAGHI, costringe le imprese a dedicare sempre più personale alla compliance: peccato che le piccole imprese europee hi-tech, che spesso hanno ”due o tre” dipendenti, non possono permettersi di assumere persone solo per essere sicure di rispettare le leggi. Così “uccidiamo le nostre imprese”, ha avvertito.

Usa, per poter crescere (un caso clamoroso è la svedese Spotify, gioiello tecnologico nato nell’Ue che è andato a quotarsi al Nasdaq di New York). ”Questo deve cambiare – ha rimarcato – l’Ue deve diventare un posto in cui l’innovazione fiorisce, specialmente per le tecnologie digitali”. 
Draghi  ha spiegato con chiarezza perché questo è un problema: tra gli Usa e l’Ue, ha ricordato, è cresciuto il ”divario” nel Pil, cosa che ha la concreta conseguenza che la crescita del reddito disponibile negli Usa è stata ‘ ‘doppia” rispetto a quella europea. E’ un “prezzo” che pagano “le famiglie europee”, che diventano “sempre più povere” rispetto a quelle americane. Questo divario si spiega principalmente con il ritardo che l’Ue ha accumulato nel settore tecnologico: l’Europa è ”bloccata” in settori maturi, come l’automotive, mentre gli Usa hanno abbracciato e guidato la rivoluzione informatica. ”Tra le imprese europee con una capitalizzazione di mercato superiore ai 100 mld di euro – ha sottolineato DRAGHI – non ce n’è una che sia stata costituita negli ultimi cinquant’anni, mentre tutte e sei le società statunitensi con una valutazione superiore ai 1.000 mld di euro sono state create in questo lasso di tempo”. L’Ue deve tornare a crescere, aumentando la produttività, perché, ha ricordato Draghi , ”esiste per assicurare agli europei che beneficeranno di alcuni diritti fondamentali”, cioè ”prosperità, equità, pace e democrazia in un mondo sostenibile” . Se l’Europa ”non potrà più assicurarli ai suoi popoli, avrà perso la propria ragion d’essere”. Quindi, non si tratta solo di ”competitività”, ma delle fondamenta del progetto europeo.  
Draghi  ha precisato, a scanso di equivoci, che aumentare la ”competitività” non vuol dire comprimere il costo del lavoro o aumentare la ”flessibilità”, come è stato per decenni, perché’ ‘non è su questo che si gioca” oggi la competitività. La partita si gioca sulla ”innovazione”, sulle ”competenze” e quindi sulla ”formazione” delle persone. Il punto, ha spiegato, non è che in Europa ”manchino le persone intelligenti o le buone idee”, bensì che ”ci sono troppe barriere alla commercializzazione delle innovazioni”. 
Draghi  ha anche parlato della ”decarbonizzazione”, che, ha detto, deve essere una ”opportunità” per la crescita. Ma, ha avvertito, se le politiche Ue non saranno tutte ”allineate” a dovere per raggiungere quell’obiettivo, c’è il serio ”rischio” che la decarbonizzazione va ”in senso contrario alla competitività e alla crescita’ ‘. Per esempio, ha spiegato, l’Ue si è dato l’obiettivo di non produrre più auto con motore a scoppio entro il 2035, ma gli obiettivi sulla produzione e l’installazione di colonnine elettriche di ricarica per i veicoli elettrici devono essere commisurati a quell’obiettivo. La ”decarbonizzazione” si accompagna alla necessità di preservare e sviluppare la capacità industriale dell’Ue nelle tecnologie pulite. Se recuperare l’industria europea dei pannelli solari, distrutta dalla concorrenza cinese, è un’impresa disperata, perché avrebbe ”costi enormi” per il contribuente, occorre però tenere presente che la concorrenza della Cina, sussidiata dallo Stato, può essere una ”minaccia” per la nascente industria europea del clean tech. 

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