Gli effetti della pandemia da Covid-19 sull’occupazione femminile – la
più colpita in questo 2020 con 470 mila posti di lavoro persi tra giugno 2019 e giugno 2020 – vanno monitorati attentamente anche alla luce del rischio, sempre più attuale, di fenomeni di ricatti, aggressività e sfruttamento, specie negli ambienti di lavoro. I luoghi di lavoro, infatti, rappresentano
uno degli ambiti di maggiore rischio per le donne di incorrere in violenze e molestie.
A fronte di 8 milioni 816mila (il 43,6%) donne tra i 14 ai 65 anni che nel corso della loro vita hanno subito una qualche forma di violenza sessuale come pedinamenti, esibizionismo, telefonate oscene, molestie verbali e fisiche, o sui social network, il 9,6% le ha subite sul lavoro, indicando tale luogo al quarto posto come rischio, dopo i mezzi pubblici (27,9%), la strada (16,1%), pub, ristoranti, cinema e teatri (13,4%). Molestie fisiche e ricatti a sfondo sessuale sono le forme di aggressività più diffuse nei confronti delle lavoratrici e i dati che emergono confermano la particolare condizione di fragilità che molte donne vivono sul lavoro.
Secondo un’elaborazione della Fondazione Studi Consulenti del
Lavoro su dati Istat, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne 2020, 1 milione e mezzo di donne (8,9% delle lavoratrici) ha subito una molestia fisica nel luogo di lavoro, mentre circa 1 milione 173 mila un ricatto a sfondo sessuale (7,5%), per l’assunzione e/o avanzamento in carriera. Un fenomeno, che pur nella mutevolezza delle forme in cui si esprime negli ultimi anni ha registrato dati costanti, particolarmente diffuso al Centro Italia (dove riguarda il 13,5% delle donne nel corso della vita), nei comuni centro delle aree metropolitane (15,1%) e nei comuni di grandi dimensioni con oltre 50mila abitanti (10,2%). Ad esserne vittime soprattutto le giovanissime (il 2,9% per le donne che hanno tra i 15-24 anni; il 3,1% per quelle da 25 a 34 anni; il 3,3% fra le 35-44enni) e le donne più istruite (3,8% fra le laureate).
Ed è il silenzio la risposta della donna a tali violenze. Dai dati che emergono dall’indagine, l’80,9% delle donne non parla della violenza subita con nessuno sul posto di lavoro e in pochi casi tali situazioni sono sfociate
in denunce alle Forze dell’Ordine. Le motivazioni più frequenti per non denunciare il ricatto subito sono la rinuncia al posto di lavoro (22,4%), la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine (22,1%), l’essersela cavata da sole o con l’aiuto dei familiari (19,5%) e la paura delle conseguenze per sé e per la propria famiglia (indicata dal 18,3% delle vittime). La paura di non ricevere adeguata tutela (fisica e giudiziaria, oltre che economica) rappresenta dunque il principale freno. “Sebbene i dati degli ultimi
anni non evidenzino un aumento dei fenomeni di violenza contro le donne vi è il rischio elevato di recrudescenza del fenomeno” sottolinea la Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, Marina Calderone.
“La precarizzazione della condizione lavorativa della componente femminile, a seguito della crisi causata dalla pandemia, potrebbe esporre maggiormente a fenomeni di molestia e ricatto a sfondo sessuale nel luogo di lavoro. A contribuire è anche l’aumento del disagio economico e sociale, il distanziamento protratto, l’isolamento, l’eccesso di rapporti virtuali che ha permeato la relazionalità dell’ultimo anno. I luoghi di lavoro, privati e pubblici, diventano pertanto oggi un presidio fondamentale nel garantire la tutela delle donne. Un presidio che deve essere intensificato, non solo tramite una maggiore sensibilizzazione su tali tematiche, ma anche
rafforzando la posizioni delle lavoratrici, di cui anche questa crisi continua a mettere in luce la debolezza sotto il profilo contrattuale e retributivo”, ha infine concluso.
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