di Raffaele Piccoli – La Consulta si è espressa sui quesiti posti dalle Regioni Puglia Campania Sardegna e Toscana circa la costituzionalità della Legge n. 86 del 24 giugno 2024.
Si tratta di una legge quadro che regola l’attuazione dell’art 116 della Costituzione, e che prevede la possibilità per le Regioni che lo vogliono di richiedere ulteriori forme di autonomia. Premesso che la decisioni della Corte non si discutono e non sono emendabili, è però importante qualche breve considerazione circa le reazioni della stampa e delle parti politiche.
In primis la maggioranza e in particolare la Lega. E’ stato sottolineato come l’intero impianto sia stato mantenuto, delle 100 eccezioni di costituzionalità indicate dalle regioni proponenti, solo sette sono state accolte. La Corte però in estrema sintesi ha inteso evidenziare due aspetti di massima importanza.
Secondo quanto stabilito, i famosi Lep, (livelli essenziali di prestazioni che devono essere uguali in tutto il paese) dovranno essere ratificati dal parlamento e non dall’esecutivo. Inoltre le altre restanti questioni sollevate dalla Consulta dovranno subire l’iter parlamentare di modifica. Sembrerebbe un aspetto secondario, ma non è cosi.
Su argomenti che toccano i rapporti nord sud in Parlamento esiste una trasversalità che oltrepassa le divisioni partitiche, e sappiamo che le assemblee legislative sono tutte più o meno a trazione centro meridionale, quindi presumibilmente contrarie.
E’ pertanto lecito pensare che i tempi potrebbero dilatarsi oltre ogni aspettativa.
Le opposizioni.
Spiace dirlo ma la reazione alla decisione è stata quanto mai sproporzionata. PD e M5S hanno gridato alla vittoria, secondo loro la Consulta ha affossato definitivamente la legge. Al contrario forse esiste una buona probabilità che questa decisione eviti la celebrazione del referendum abrogativo, che in ogni caso non avrebbe grosse possibilità di successo. Per essere valida la consultazione deve raggiungere il 50%+1 degli aventi diritto al voto, obiettivo difficilmente raggiungibile in tempi come gli attuali in cui la disaffezione impera. Quindi flop anche per le opposizioni.
Il quadro che si delinea non è certo dei migliori, anzi.
In questa situazione paradossale manca però un soggetto importante un convitato di pietra: la questione settentrionale. Questione sparita da anni dall’agenda politica, ma più viva che mai.
E’ singolare notare come tutta l’opposizione e anche parte della maggioranza siano sempre pronte a difendere le ragioni del sud (dietro il paravento dell’unità nazionale), mentre non spendano una parola per le Regioni Padane, in cui i partiti pur sempre raccolgono milioni di voti e lo Stato Italiano miliardi di euro di residuo fiscale. Qui purtroppo la mancanza di un sindacato del nord si avverte in maniera quasi assordante.
Il nord come sempre è solo con se stesso. Solo a sostenere con il residuo fiscale l’equilibrio della finanza pubblica, solo a difendere l’export , solo a valorizzare la dignità del lavoro produttivo contro i redditi di cittadinanza, solo a finanziare l’assistenzialismo che da sempre permette alle regioni meridionali di sopravvivere. Viene da chiedersi cosa ancora debba succedere affinché la specificità e il valore dei territori Padani venga riconosciuto come merita, e non sfruttato, cosa debba succedere ancora affinché la richiesta di autonomia venga accolta come un valore aggiunto e non come una forma di egoismo contro il resto del paese, e cosa mai ancora dovrà accadere affinché il voto di oltre 5 milioni di cittadini Veneti e Lombardi, che chiedono solo più autonomia, dopo ben 7 anni venga rispettato.
Sappiamo che non è possibile dare al nord tutto quanto gli spetta, è però necessario che almeno in Italia si comprenda che il contributo della produttività padana è la sola opportunità che ha il paese di contare in Europa e nel Mondo.
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