di Roberto Gremmo – Per il convegno di Biella di sabato 14 dicembre sulle autonomie, già disertato ancor prima di iniziare da chi non ha il coraggio delle proprie idee, sto preparando, su invito della Associazione Oneto, una breve relazione sulle difficoltà che ha avuto fin dalla Liberazione l’autonomia delle Regioni.
Tutto e’ colpa della Costituente, dove in pratica non c’erano federalisti, salvo il sardista Lussu, i separatisti siciliani e il repubblicano Zuccarini. Più condizionati dai propri partiti s’aggiungevano il Comunista eretico Terracini ed il profeta della Lunezia, il democristiano Giuseppe Micheli.
Tutti i delegati erano invece, in un modo o nell’altro, centralisti. Primo fra tutti Togliatti che era disposto a regalare Gorizia a Tito in cambio di Trieste, ma non amava il federalismo.
Del resto, era una vecchia tara, perché già nel 1921 aveva insultato su ”Ordine Nuovo” i primi regionalisti sardi e molisani. Figurarsi il deputato trentino già giovane irredentista a Vienna o Nenni che farneticava di un vento del nord ma per instaurare un nuovo potere “progressista” dei partiti che si stavano spartendo le poltrone.
Il vero problema era stata la concessione di uno statuto speciale per SudTirolo, Trentino, parte della provincia di Torino, la Sardegna e la Sicilia insanguinata da una vera e propria guerra civile.
Queste larghe (per la Sicilia larghissime) autonomie erano state un gradito omaggio di Umberto secondo, preoccupato di tamponare le richieste dell’Austria di porre un freno alla persecuzione dei sudtirolesi, le rivendicazioni di De Gaulle che voleva annettere persino Torino, la forza impositiva dei notabili che dominavano la Sardegna e soprattutto dare un contentino a Finocchiaro Aprile che era lì lì per fare la secessione se non fossero intervenuti i suoi fratelli massoni a spiegargli che oltre Oceano le logge non erano contente.
Il latte era stato versato, e il regalo omaggio delle autonomie era cosa fatta.
Ma tutti i costituenti erano d’accordo nel fermarsi lì.
Solo perché sarebbero state, per tacito accordo, lettera morta, nella Costituzione più bella del mondo si misero nero su bianco le Regioni, con l’intesa di tenerle nel frigo il più possibile.
E infatti furono attuate solo nel 1970.
Ma erano, piacesse o no, una realtà nella coscienza dei cittadini, che nel loro istintivo senso d’apparenza sentivano che nella Repubblica democratica bisognava tener conto delle diversità territoriali non cancellate da un’Italia mal unita con le baionette di Lamarmora e le stragi di contadini alla Bixio, suggellata dalla carneficina del 15-18 e plasmata dal fascismo dove molti costituenti si erano fatte le ossa col “lungo viaggio” trasformista.
Delle Regioni si doveva tener conto.
Ma pesava la paura di spinte separatiste, e inoltre l’assistenzialismo cronico della classe politica del notabilato sudista temeva che fossero un cavallo di Troia per far entrare i cosacchi nelle zone “rosse” e soprattutto che potesse nascere sul territorio una nuova classe politica diversa da quella impegolata nelle manovre romane.
Nei vent’anni d’attesa, si preparò il terreno perché al momento del via, le Regioni nascessero riproducendo lo schema burocratico elefantiaco centrale, avessero ai vertici dei politici di seconda linea ma solerti nella logica spartitoria partitocratica e soprattutto con le mani legate da cavilli, vincoli veri, inventati o studiati abilmente per impedire che la realtà delle cose facesse esplodere l’insanabile contraddizione dei differenti territori della Repubblica.
Che non dovevano alzare la testa.
Salvo la sanità, dove la classe politica regionale ha dimostrato tutta la sua incapacità, agli enti territoriali è stata concessa potestà condizionata solo su materie di passerella o di propaganda ma non in settori decisivi, tenendo comunque ben chiusi a Roma i cordoni della borsa, scippando a man bassa i soldi delle tasse.
Al convegno di Biella ricorderemo che per scardinare questo incancrenito sistema conservatore nel 1994 migliaia di persone scesero sul Po.
La relazione di Marco Peruzzi ha per titolo: “Un’occasione persa”.
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