di Roberto Gremmo – La nuova legge sulle minoranze linguistiche della Regione Veneto non promuove la difesa della lingua veneta. E questo non è giusto. Eppure sono ormai più che trentennali gli sforzi dei cultori della cultura veneta con alla testa Franco Rocchetta per chiedere di riconoscere la dignità di lingua vera e propria al “dialetto” regionale e proprio quando c’era la possibilità di fare ufficialmente questa dichiarazione, il Consiglio Regionale non lo ha fatto.
Con voto pressoché unanime, lo scorso 19 ottobre il parlamento regionale ha infatti approvato la norma proposta dalla consigliera bellunese Silvia Cestaro che riconosce soltanto il patrimonio linguistico cimbro, ladino e friulano ma senza fare cenno all’esistenza ormai riconosciuta da molti studiosi della parlata veneta come lingua minoritaria nello Stato italiano.
Nella discussione vi è stata addirittura l’opposizione del rappresentante di “Veneto che vogliamo” all’estensione delle tutele alla lingua cimbra, perché non citata nella molto discutibile e discriminante legge quadro nazionale ma alla fine la nuova legge è stata approvata, pur prevedendo soltanto la miseria di uno stanziamento di 120 mila euro, appena appena sufficienti per salvare il patrimonio museale dell’Istituto Ladin di Borca di Cadore e senza indicare concrete iniziative nelle scuole che sono il luogo migliore per garantire la sopravvivenza delle parlate popolari.
Sarebbe stata davvero l’occasione buona per affermare formalmente il valore come lingua minoritaria vera e propria della lingua veneta ma nessun consigliere ha creduto di doverlo fare. E questo non è un bel vedere. L’autonomia regionale ha senso solo se è anche e soprattutto espressione dell’identità culturale profonda del popolo e difesa del sua originale patrimonio linguistico.
Foto di Stefano Segato