di Roberto Gremmo – Ci sono crimini di guerra di cui non parla nessuno e il giorno della Memoria è l’occasione giusta per ricordarli e condannarli.
Fra i tanti delitti del totalitarismo ci sembra giusto ricordare l’eccidio di 111 carabinieri italiani massacrati dai comunisti in Albania nel 1943. E’ una storia di cui le stesse autorità italiane non parlano volentieri, perché il partigiano albanese che uccise materialmente i carabinieri disarmati venne catturato e processato dal nostro Paese ma poi lasciato libero dopo poco tempo grazie ad una delle tante amnistie. Nessuno toccò il mandante dell’eccidio che dopo la guerra era diventato uno dei capi dell’Albania Comunista, con cui lo Stato italiano sotto sotto voleva avere un buon vicinato perché il Paese delle aquile era a suo modo una spina nel fianco dell’impero sovietico.
Tutti zitti, ieri per realismo politico, oggi perché fanno notizia soprattutto le foibe titine e nessuno si ricorda di tragedie avvvenute in regioni poco note.
E allora, raccontiamola noi la fine terribile dei carabinieri, scritta per quel che ne so solo da Antonio Magagnino e da Laura e Tullio Mereu, raccapricciante delitto che noi abbiamo conosciuto grazie ad una documentazione inedita che abbiamo rinvenuto all’Archivio Centrale dello Stato, sepolta dalla polvere.
Gli uomini dell’Arma erano stati mandati da Mussolini a garantire l’ordine pubblico in Albania e dopo l’8 settembre del famoso armistizio per sottrarsi alle prevedibili rappresaglie dei tedeschi avevano cercato di tornare in Italia formando una colonna di diverse centinai di soldati, ufficiali e sottufficiali agli ordini del colonnello fiorentino Giulio Gamucci.
Il convoglio aveva lasciato Tirana il 19 settembre ma giunto nella Cermanica ebbe la sfortuna di trovarsi la via sbarrata da una formazione di partigiani albanesi con cui Gamucci concordò una resa dignitosa, la consegna delle armi e la vita salva. Tradendo i patti, il comandante partigiano Xhelal Staraweska, obbedendo agli ordini del suo capo Kadri Hoxha stretto parente del futuro Presidente Enver, ordinò ai suoi uomini di massacrare tutti gli italiani senza pietà. Dopo averli costretti a denudarsi, 110 carabinieri vennero fucilati a gruppi di cinque ed i loro cadaveri rimasero insepolti. Stessa sorte per Gamucci.
Le responsabilità dei colpevoli sono note, anche grazie ad un diplomatico italiano che viveva a Durazzo che riuscì a rintracciare un proclama con cui il principale fomentatore dell’eccidio esaltava la strage e soprattutto perché nell’Archivio del nostro Ministero degli Esteri si conserva la testimonianza scritta dell’autiere Mario Errico, unico scampato al massacro (Affari politici, Albania anni 1946-1950, busta 15). Da non dimenticare nel Giorno del Ricordo.
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