Pil allo 0,8% nel 2025 e allo 0,9% nel 2026: sono al ribasso di un decimo di punto le previsioni di crescita di Confcommercio. Pesa la vicenda dei dazi, soprattutto l’incertezza per i continui annunci contrastanti, e la stagnazione dei consumi, che dovrebbero far registrare quest’anno e il prossimo una ripresa, anche se tiepida.
Si tratta di stime comunque più ottimistiche di quelle del governo, che nel Documento di finanza pubblica ha dimezzato la crescita al +0,6% per quest’anno rispetto alle previsioni dell’autunno scorso.
“Nonostante l’incertezza”, per il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, “inflazione sotto controllo, occupazione ai massimi e redditi reali in aumento” rappresentano “solidi presupposti per consentire all’Italia di reggere l’urto e attraversare con successo un periodo complesso e pieno di incognite”.
“La parziale marcia indietro dell’amministrazione americana è una buona notizia: implica che abbiamo una controparte che ascolta imprese e mercati. Ma le ampie oscillazioni negli indirizzi di politica economica non sono prive di conseguenze”, ha sottolineato Sangalli, in apertura del Forum di Confcommercio.
Per questo è necessario un “paziente, determinato e faticoso lavoro di negoziazione multilaterale per ricucire e ripristinare”. Sul piano interno, la Confcommercio chiede uno stimolo ai consumi, che “anche alla fine del prossimo anno, non saranno tornati ai livelli del 2007, cioè di venti anni prima. Quindi – ha sottolineato – bisogna rimettere al centro dell’agenda di Governo la riduzione delle imposte per il ceto produttivo. E bisogna farlo adesso”.
Negli anni i consumi degli italiani sono calati e cambiati: dal 2007 al 2024 la spesa si è ridotta di 452 euro pro-capite, mentre si concentra più sui servizi. E anche se da quest’anno la stima è di una lenta inversione di tendenza rispetto alla stagnazione degli anni precedenti – con una crescita dei consumi stimata a +1,2% per il 2025 e +1% per il 2026 – il calo non verrà assorbito con la crescita dei consumi di quest’anno e dell’anno prossimo. In particolare, rispetto al 2007, la spesa per beni è calata di 1.115, mentre quella per i servizi è aumentata di 657 euro in media per ogni italiano.
Cala la spesa per alimenti, -408 euro pro-capite (di cui -83 euro per la carne) e spendiamo 92 euro in meno per vestiario e calzature. Aumenta, invece, la spesa per la sanità e la cura del sì, 112 euro in più in meno di 20 anni.
Aumenta di 316 euro la spesa per servizi di comunicazione, ricreazione e istruzioni: è di 190 euro in più la spesa per sport e tempo libero, di 70 euro in più per ristoranti.
Allo stesso tempo, i prezzi dell’energia, “sono ancora molto elevati, con un pesante impatto sulle bollette di famiglie e imprese, in particolare quelle del terziario di mercato”, per le quali a marzo 2025, le tariffe dell’energia elettrica hanno registrato un incremento del 53,5% rispetto alle tariffe pre-crisi del 2019, quelle del gas addirittura dell’88,2%. E “le misure adottate dal Governo non sono ancora sufficienti”, quindi Confcommercio torna a chiedere “interventi strutturali”.
E per incoraggiare gli investimenti, che secondo le previsioni saranno quasi fermi anche nel 2025 allo 0,4%, occorre lavorare sulla leva fiscale rendono strutturali interventi come la deduzione rafforzata del costo del lavoro e l’Ires premiale.
Ma allora, nel leggere questi dati, tra qualche lucina e troppe ombre, come si fa ad immaginare che la priorità dei cittadini sia, piuttosto che una riduzione delle tasse e degli onieri in bolletta, un cambio della guardia al Viminale, chiesto da un piccolo gruppo di persone tesserate ad un partito e che rappresentano in quota percentuale una parte irrisoria dei contribuenti, delle aziende italiane?