La “nazionale” del lavoro nero: da Nord a Sud tra caporalato, badanti, edili un fatturato da 68 miliardi di euro

30 Giugno 2024
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SUn volume d’affari annuo che ammonta a 68 miliardi di euro. Sono le cifre dell’Ufficio Studi della Cgia sul lavoro irregolare presente in Italia. E il 35% circa di questo valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa è ascrivibile alle regioni del Sud. L’economia sommersa nel Paese coinvolge poco meno di 3 milioni di persone e il Mezzogiorno presenta la ripartizione geografica del Paese che presenta la percentuale più elevata: ovvero il 37,2% del totale. Tuttavia, il fenomeno ormai è esteso anche al Centro Nord e ha una presenza record soprattutto nel settore dei servizi alle persone (colf, badanti, ecc.). Il tasso di irregolarità di questo settore raggiunge il 42,6%. Al secondo posto scorgiamo l’agricoltura con il 16,8% e al terzo le costruzioni con il 13,3%, osserva l’analisi.

“Da sempre il fenomeno del lavoro nero/forzato è legato al caporalato”, sottolinea la Cgia, che spiega: “Anzi, in moltissimi casi il primo è l’anticamera del secondo; non solo in agricoltura o nell’edilizia, ma anche nel tessile, nella logistica, nei servizi di consegna e di assistenza”. Fenomeni di caporalato ai danni degli immigrati sono presenti da moltissimi decenni nell’Agro Pontino (LT), nell’Agro nocerino-sarnese (SA), a Villa Literno (CE), nell’area della Capitanata (FG) e nella Piana di Gioia Tauro (RC), rileva l’associazione. “Senza contare che da almeno venti anni decine e decine di casi sono stati scoperti e perseguiti dalle forze dell’ordine anche nelle aree agricole della pianura padana”, aggiunge. La quota più elevata di economia irregolare, “pari all’8,3% per cento, interessa la Calabria. Seguono la Campania con il 6,9%, la Sicilia con il 6,6% e la Puglia con il 6,2%.

La media nazionale è del 4,2%. Dei 2.848.100 occupati non regolari stimati in Italia dall’Istat, 1.061.900 sono ubicati nel Mezzogiorno, 691.300 nel Nordovest, 630.000 nel Centro e 464.900 nel Nordest. Calcolando il tasso di irregolarità, “dato dal rapporto tra il numero degli irregolari e il totale occupati per regione, la presenza più significativa si registra sempre nel Sud e, in particolare, in Calabria con il 19,6%. Seguono la Campania con il 16,5% e la Sicilia con il 16 per cento Il dato medio Italia è dell’11,3%”, rileva ancora l’analisi. “La tragedia che si è consumata la settimana scorsa nelle campagne dell’Agro Pontino è sicuramente figlia dello sfruttamento e delle pratiche schiavistiche praticate dagli imprenditori agricoli di quella zona”, analizza la Cgia, spiegando che “sfruttando lo status irregolare dei migranti, gli imprenditori coinvolgono i lavoratori senza garantire contratti regolari, pagando salari bassi e innescando una serie di problemi legati all’alloggio, ai trasporti e ai servizi sociali”.

“Tuttavia non va dimenticato che spesso queste condotte criminali sono indotte, non solo al Sud, dalla struttura del mercato agroalimentare che, spesso, è monopolizzata da poche imprese della grande distribuzione che continuano a spremere i piccoli agricoltori, che per rimanere sul mercato sono costretti a ridurre gli stipendi della manodopera, alimentando così ancor più il sistema del caporalato”, aggiunge la Cgia, che ricorda: “Nonostante l’Italia abbia recepito la direttiva UE contro le pratiche commerciali sleali e le vendite sottocosto, la grande distribuzione continua a mantenere i listini fermi nonostante i rincari, mettendo in grave difficoltà tanti piccoli produttori”.

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