Nulla di nuovo. Al Sud si pagano più pensioni che stipendi

24 Agosto 2024
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Nel Mezzogiorno si pagano piu’ pensioni che stipendi, ma nel giro di qualche anno il sorpasso e’ destinato a compiersi anche nel resto del Paese. Secondo alcune previsioni, entro il 2028 sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiungere limiti di eta’ 2,9 milioni di italiani, di cui 2,1 milioni sono attualmente occupati nelle regioni centrosettentrionali. Lo sostiene l’Ufficio studi della 
Cgia che ha elaborato i dati dell’Inps e dell’Istat. “E’ evidente, visto la grave crisi demografica in atto, che difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori che non saranno più’ tenuti a timbrare il cartellino ogni giorno. Insomma, gli assegni erogati dall’Inps sono destinati a superare le buste paga degli operai e degli impiegati occupati nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici, anche nelle ripartizioni geografiche del Centro e del Nord, mettendo cosi’ a rischio la sostenibilita’ economica del nostro sistema sanitario e previdenziale – prosegue la 
Cgia – Gli ultimi dati disponibili che ci concordano di effettuare un confronto tra il numero degli addetti e quello delle pensioni erogate agli italiani sono riferiti al 2022. Ebbene, se allora il numero dei lavoratori dipendenti e degli autonomi sfiorava i 23,1 milioni, gli assegni corrisposti ai pensionati erano poco meno di 22 ,8 milioni (saldo pari a +327 mila). Qualcuno potrebbe legittimamente osservare che rispetto al 2022 le cifre sono cambiate, in particolare quella riferita agli occupati. Obiezione piu’ che condivisibile; infatti, il numero degli addetti in Italia e’ aumentato 2 e in attesa che l’Inps aggiorni le proprie statistiche, e’ altrettanto ragionevole ritenere che anche il numero delle pensioni corrisposte in questo ultimo anno e mezzo sia cresciuto, addirittura in misura superiore all ‘incremento dei lavoratori attivi”, sottolinea la 
Cgia . 

Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2022, la provincia più “squilibrata” d’Italia e’ Lecce: la differenza e’ pari a -97 mila. Seguono Napoli con -92 mila, Messina con -87 mila, Reggio Calabria con -85 mila e Palermo con -74 mila. Va segnalato che l’ascensore numero di assegni erogati nel Sud e nelle Isole non e’ ascrivibile alla eccessiva presenza delle pensioni di vecchiaia/anticipare, ma, invece, all’elevata diffusione dei trattamenti sociali o di inabilita’. Un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da quattro fenomeni strettamente correlati fra loro: la denatalita’, il progressivo invecchiamento della popolazione, un tasso di occupazione molto inferiore alla media UE e la presenza di troppe lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, di conseguenza, ingrossato la platea dei percettori di welfare. Un problema che non riguarda solo l’Italia; purtroppo, attanaglia tutti i principali paesi del mondo occidentale, osserva la 
Cgia . Nei prossimi anni la situazione e’ prevista in netto peggioramento in tutto il Paese, anche nelle zone piu’ avanzate economicamente. Tuttavia, già oggi ci sono 11 province settentrionali che al pari della quasi totalita’ di quelle meridionali registrano un numero di pensioni erogate superiore alle buste paga corrisposte dagli imprenditori ai propri collaboratori. Esse sono: Sondrio (saldo pari a -1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila). Tutte le 4 province della Liguria presentano un risultato anticipato dal segno meno, mentre in Piemonte sono tre su otto. Delle 107 province d’Italia monitorate in questa analisi dell’Ufficio studi della 
Cgia , solo 47 presentano un saldo positivo: le uniche realta’ territoriali del Mezzogiorno che registrano una differenza anticipata dal segno piu’ sono Cagliari (+10mila) e Ragusa (+ 9mila).

Afferma il segretario della 
Cgia , Renato Mason: “Con tanti pensionati e pochi operai e impiegati, la spesa pubblica non potra’ che aumentare, mentre le entrate fiscali sono destinate a scendere. Questo trend, nel giro di pochi anni, minera’ l ‘equilibrio dei nostri conti pubblici. Per invertire la tendenza dobbiamo aumentare la platea degli occupati, facendo emergere i lavoratori in nero e aumentando i tassi di occupazione di giovani e donne che in Italia continuano a rimanere i piu’ bassi d’Europa”. Un Paese che registra una popolazione sempre piu’ anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici ea mantenere i livelli di ricchezza sin qui raggiunti; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone. Va altresi’ segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto piu’ contenuta della popolazione giovane, una societa’ costituita prevalentemente da anziani rischiando di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più’ anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, suscitando la contentezza degli istituti di credito. A livello territoriale la realta’ piu’ virtuosa d’Italia e’ la Citta’ metropolitana di Milano (differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati pari a +342mila). Seguono Roma (+326mila), Brescia (+107mila), Bergamo (+90mila), Bolzano (+87mila), Verona (+86mila) e Firenze (+77mila). Tra le provincia del Centro, infine, spiccano i risultati delle toscane: come Prato (+33mila), Pisa (+14mila) e Pistoia (+6mila). 

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