di Raffaele Piccoli – Il grande clamore (peraltro ingiustificato) sollevato dalla recente decisione della Consulta che ha negato il referendum sull’autonomia differenziata, ha messo sotto silenzio una notizia importante riguardante il patto tra Toscana ed Emilia-Romagna, sottoscritto a Firenze lo scorso 18 gennaio, tra i Governatori del PD Giani e De Pascale.
Il documento, un vero protocollo d’ intesa, spazia dalla sanità alle infrastrutture, dal digitale alla difesa del suolo, dall’ambiente, al dissesto idrogeologico non tralasciando la protezione civile e la valorizzazione dell’appenino. Un vero e proprio patto di collaborazione e integrazione, che può rappresentare l’embrione di una futura macroregione Tosco Emiliana.
La Toscana, per produttività residuo fiscale e organizzazione ha tutte le carte in regola per ben figurare in una futura realtà federale, il punto non è questo. Ritengo piuttosto che per l’Emilia-Romagna sarebbe molto più proficua e utile la stipula di un patto “padano” (con Veneto e Lombardia) piuttosto che uno “appenninico” (con la Toscana ).
Nessun politico di sinistra lo ammetterà mai, ma la motivazione alla base di questi accordi non può che essere quella di far nascere un nocciolo duro di regioni a guida PD da contrapporre a quelle del nord in una sorta di competizione, politico partitica più che territoriale.
L’Emilia-Romagna è la seconda regione d’Italia per residuo fiscale (18 miliardi). Il core business produttivo e di servizi si trova nella parte pianeggiante lungo la via Emilia e nelle aree al confine con Lombardia e Veneto, oggi Bologna rappresenta dopo Milano e insieme con Venezia,il terzo polo del triangolo del massimo sviluppo italiano. La zona montana appenninica si presenta al contrario, poco popolata, e con vaste aree di sottosviluppo.
In effetti in passato la sinistra aveva più volte precisato come la collocazione Emiliana doveva essere Padana, cioè si sottolineava l’importanza di integrare al meglio i sistemi produttivi Emiliani con quelli Lombardi e Veneti.
La prospettiva Padana (intesa come collocazione inequivocabile dell’Emilia) fu teorizzata con lungimiranza nel lontano 1973 da Guido Fanti (primo Presidente della Regione) con la proposta della creazione di una Lega del Po, intesa come bozza di una futura macroregione integrata. In tempi più recenti (2018) lo stesso Bonaccini aveva sottoscritto insieme a Maroni a Zaia un protocollo di intesa con il governo Gentiloni al fine di ottenere parte delle autonomie previste dall’art. 116 della Costituzione, in sostanza la base di partenza per ulteriori forme di collaborazione.
E’ evidente che anche la sinistra aveva compreso in che direzione era indispensabile portare il futuro dell’Emilia Romagna. Purtroppo in tempi recenti questo obiettivo si è dissolto, si procede a braccio dando sempre maggiore importanza alla “ragion di partito” e omettendo gli interessi del territorio. Vale la pena ricordare che l’attuale governatore, è uscito vincente alle elezioni di novembre 2024, con una percentuale del 56,77% a fronte di un’affluenza limitata al 46,42%. Solo il 26,35% degli aventi diritto lo ha votato, per un governatore che ha in mente di fare grandi cose (sbagliate) è decisamente poco.
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