di Michele Rusconi – Dopo 20 anni di aeroporto, qualche anno fa sono tornato a lavorare a Milano, in centro.
Per un paio di stagioni sono stato uno dei tanti pendolari che, treno alla mattina e treno alla sera, si muovono (disperati !) tra provincia e città.
Ma poi è arrivato il Covid, le ore si sono tragicamente ridotte e mi sono accorto che passavo più tempo sui mezzi che al lavoro.
Quindi, potendo usufruire di un appartamento di famiglia (anch’esso rimasto sfitto per la pandemia) torno ad essere orgogliosamente milanese.
Passeggio in Corso Italia, in Porta Romana ed in via Torino, cosa che non facevo da anni e che mi riporta ai miei primi trent’anni di vita.
Riscopro la mia città, riaffiorano ricordi, angoli dimenticati, a volte cambiati, negozi storici che resistono ed altri spariti, sostituiti da business più moderni e redditizi.
Un ciclista mi passa affianco sul marciapiede. Immagino sia un cretino isolato e penso che il pericolo a cui sottopone i pedoni, sia inusuale.
Dopo qualche minuto eccone un’altro questa volta su un monopattino elettrico. E poi ancora un’altro.
Questi aggeggi sono piccoli ma veloci e si insinuano ovunque.
Capisco che il fenomeno ormai è molto diffuso.
Esco dal lavoro un po’ tardi e scopro che alla sera è ancora peggio: all’ora di cena i riders delle società di consegna food, sono scatenati e, stante anche i pochi pedoni, diventano … padroni e predoni dei marciapiedi.
Penso tra me e me che forse sono solo troppo rigoroso ed attento: la cosa è ormai accettata da tutti, e comunque, adeguandosi, nessuno sembra lamentarsi.
Immediatamente però torno a valutarne i pericoli oggettivi della convivenza tra pedoni e velocipedi.
Ogni giorno è la stessa cosa ed anzi con l’avvicinarsi della bella stagione, peggiora costantemente.
Comincio a pensare che, prima di incentivare la diffusione di questi nuovi mezzi di trasporto, i signori del Governo (precedente all’ammucchiata attuale) avrebbero fatto bene a pensare ad un adeguamento serio e specifico del codice.
Certo che le biciclette non sono una novità e la legge esiste da sempre: non possono circolare sul marciapiede. Punto.
Ma, come spesso succede in questo paese, nessuno fa rispettare le leggi.
Finisco con abituarmi al problema ed anche se a volte mi piacerebbe prendere a sberle qualcuno e buttagli il monopattino sotto al tram, mi ammorbidisco e mi adatto.
L’altra sera ricevo una telefonata: è mancata la Zia Rosanna, ultima cugina della mamma. Penso subito al Covid ma mi dicono di no: stava bene era fisicamente in forma e, nonostante l’età avanzata, era presente e lucida.
“È stata investita!”.
Chiedo se sia stato individuato l’automobilista ma anche in questo caso la risposta mi lascia senza parole.
Nessuna automobile: i responsabili sono un gruppo di ragazzini arrivati a bordo dei loro monopattini elettrici.
È un attimo, la colpiscono.
Si dileguano in fretta, tutti tranne un paio che, dimostrando qualche accenno di senso civico, si fermano ed indicano gli amici quali responsabili del fatto.
Nessun nome, nessun altro indizio.
L’anziana viene soccorsa da alcuni passanti e presto ci si rende conto delle fratture; ricovero al Galeazzi, operazione e breve convalescenza: sembra ci si avvii verso una completa, seppur difficile, guarigione.
Ma il quadro clinico, all’improvviso, crolla: l’infezione, le complicanze e lo stress aggradiscono un fisico già debilitato ed in qualche ora tutto volge al peggio.
Ultima rappresentante di una generazione che, dopo la dipartita delle 4 nonne, era la memoria storica della famiglia, ultimo legame vivente con la giovinezza di mia madre, con mia nonna e con la famiglia in Lomellina, ci lascia una donna dolce ma anche forte e tenace, con il suo viso rigoroso e sereno al contempo, con quello sguardo profondo di chi nella vita ha visto e vissuto anche tante cose brutte, a iniziare dalla guerra quando era bambina.
Ci lascia per un banale incidente, colpita da un monopattino elettrico condotto da un ragazzino fuggitivo, metafora di un mondo sempre più veloce, vigliacco ed egoista che ha poco rispetto dei più deboli e per chi non riesce, o non può, stare al passo coi tempi. Addio Zia.
Photo by Alexander Schimmeck
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