Buste paga basse rispetto al carovita, turnazioni che fanno male alla salute e non facilitano la conciliazione vita-lavoro, incremento delle aggressioni a danno del personale, incognite sull’impatto dell’Intelligenza artificiale, scarso coinvolgimento nella vita dell’impresa, voglia di dimissioni. Oggi per lavorare nel settore dei trasporti e della logistica ci vuole coraggio.
A rivelarlo è una ricerca commissionata dalla Fit Cisl Lombardia, che è stata presentata questa mattina nella prima giornata del XIII° Congresso dell’organizzazione in corso a Ponte San Pietro (si chiude domani).
L’indagine, realizzata da BiblioLavoro (il Centro studi della Cisl Lombardia) ha coinvolto oltre 1.500 iscritti al sindacato. “I risultati – ha commentato il segretario generale della Fit Cisl Lombardia, Marco Ceriani – segnalano un diffuso disagio fra i lavoratori e le lavoratrici di un settore che offre importanti servizi ai cittadini. Voglio evidenziare tre criticità forti. La prima è lo stipendio: il 56% si dichiara insoddisfatto, una situazione inaccettabile, soprattutto in una regione come la Lombardia, e in particolare un’area come il milanese, dove il costo della vita è tra i più alti d’Italia. I salari, spesso fermi da anni, non sono più sufficienti a garantire un’esistenza dignitosa. Rivendichiamo con forza il diritto a una retribuzione giusta e proporzionata al contesto in cui si vive e lavora.
La seconda, evidenziata dalle richieste di impegno rivolte al sindacato, è la crescente preoccupazione per le aggressioni da parte dell’utenza. Un campanello d’allarme che ci impone di mettere in campo soluzioni rapide: la tecnologia può essere alleata della sicurezza. Pensiamo a sistemi intelligenti di sorveglianza, dispositivi di allerta personale e software predittivi che permettano di anticipare situazioni di rischio, salvaguardando l’incolumità fisica e psicologica di chi lavora ogni giorno per la collettività. La terza è il problema degli orari: i lavoratori turnisti mostrano i livelli più bassi di soddisfazione su quasi tutti i fronti. Non possiamo ignorare questa realtà: il lavoro su turni, essenziale per garantire la continuità dei servizi, non può più essere pagato con l’usura psicofisica di chi lo svolge. Infine, il nostro sguardo è rivolto al futuro. Le domande sull’Intelligenza artificiale hanno evidenziato l’attenzione verso il suo potenziale in termini di maggiore efficienza, ma anche fortissimi timori per l’occupazione e la disumanizzazione del lavoro. Il nostro impegno sarà quello di accompagnare questo cambiamento, per garantire che l’innovazione sia al servizio delle persone e non il contrario”. Lo stipendio netto medio mensile (full time) è pari a 1.874 euro. Il 56,2% si dichiara “poco o per niente soddisfatto” della remunerazione, soprattutto se raffrontata all’alto costo della vita nella regione ed in particolare nel milanese.
Gli insoddisfatti sono più numerosi fra il personale dei treni (64,7%) e di metropolitane e autobus (55,3%). Le donne guadagnano il 7,6% in meno degli uomini, gli stranieri l’11,1% in meno degli italiani, i laureati il 3,4% in più rispetto ai non laureati. Oltre 4 intervistati su dieci ha figli minorenni e il 24% si occupa di genitori o famigliari anziani o non autosufficienti. Il 63,6% è insoddisfatto dell’equilibrio fra vita e lavoro. A pesare sono soprattutto gli orari: i turnisti sono per il 60% più insoddisfatti dei non turnisti. Il disagio tra chi lavora su turni è più marcato anche per quanto riguarda la motivazione, la crescita professionale, la formazione continua, il coinvolgimento e la valorizzazione del contributo lavorativo. Il 63,9% non apprezza il clima che si respira in azienda e il 61,5% non è contento della coerenza fra inquadramento e mansioni svolte. Il 62,1% lamenta carenze sulle opportunità formative, mentre 8 lavoratori su dieci non sono soddisfatti delle opportunità di crescita. Il 55,8% non è motivato a svolgere la propria attività quotidiana. Il 74,2% non si sente coinvolto nelle decisioni che riguardano il proprio lavoro e quasi 8 addetti su dieci pensano che il proprio contributo non sia valorizzato. La situazione potrebbe migliorare aumentando la retribuzione e i benefit (69,6%), favorendo un maggiore equilibrio fra vita e lavoro (55,8%), offrendo più possibilità di fare carriera (37,7%).
Il 93,3% ritiene utile aumentare la partecipazione dei lavoratori secondo il modello della legge di iniziativa popolare proposta dalla Cisl. Tutte le forme di partecipazione (organizzativa, gestionale, finanziaria e consultiva) riscuotono ampio consenso, soprattutto quella organizzativa avvertita come più vicina alle esigenze quotidiane e capace di incidere sulla vita lavorativa. Un piano di welfare aziendale è presente in 8 imprese su 10, ma la metà degli intervistati non è soddisfatto delle misure disponibili. Il 74% ha usufruito di almeno una di esse, ma solo il 53,6% ritiene che siano coerenti con i propri bisogni. Le richieste principali vertono su buoni pasto (72%), sanità integrativa (70,1%), pensione complementare (50,1%), rimborso delle spese scolastiche (40%). Chi ha figli chiede asili nido, gli under 36 l’abbonamento in palestra. Solo il 14,5% dichiara di non avere motivi per lasciare il lavoro. Le cause principali che potrebbero spingere alle dimissioni sono la retribuzione inadeguata (50,2%), la scarsa conciliazione vita-lavoro (49,2%, +80,3% tra i turnisti), il clima aziendale negativo (48,3%), i turni insostenibili (31,4%, +392,9% tra i turnisti). Quasi il 50% non sa se la propria azienda ricorre all’IA. Tra chi è informato il 35% dice che viene utilizzata e l’8,8% afferma che ha già sostituito mansioni svolte prima da lavoratori.
La perdita di posti di lavoro (48,4%) è la paura principale, con a seguire l’eccessiva “dipendenza dalla tecnologia e la vulnerabilità rispetto ad un malfunzionamento” (42,5%). Chi vede elementi positivi segnala un possibile “miglioramento della qualità del lavoro e la riduzione di errori” (25,1%) e un aumento dell'”efficienza e della produttività” (23,4%). Un campione è stato sottoposto a domande aperte che hanno evidenziato come molti vedano nell’Intelligenza artificiale una minaccia alla stabilità occupazionale, con la paura che il progresso tecnologico non venga accompagnato da una riqualificazione adeguata. Altri rischi riguardano l’impoverimento del lavoro e della professionalità, la perdita di empatia e l’aumento della disumanizzazione del lavoro, oltre alla riduzione dell’autonomia decisionale, una maggiore sensazione di controllo e pressione e, quindi, di stress. Infine, emergono timori sulla sicurezza, la privacy e l’affidabilità dei sistemi di IA. L’automazione potrebbe esporre aziende e lavoratori a rischi informatici, errori decisionali e malfunzionamenti, compromettendo la qualità e la sicurezza del lavoro. Il 62% ritiene che l’importanza data alla sostenibilità ambientale stia facendo passare in secondo piano quella sociale (l’attenzione ai bisogni dei dipendenti). Il 34,4% ha paura che le proprie competenze diventino obsolete e oltre il 60% afferma che la propria azienda non investe in formazione su questo tema.
I cinque temi più urgenti secondo gli iscritti riguardano le condizioni salariali (80,4%), la salute e sicurezza (56,3%), l’equilibrio vita-lavoro (54,9%), l’orario e i turni (54,3%), il welfare e la contrattazione integrativa (39,1%).
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