di Luigi Basso – Caro direttore, premettendo che non mi occupo scientificamente di diritto costituzionale, colgo comunque l’invito alla discussione ( che non può dunque che essere politica) sul controverso passaggio (Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di sovranità (sentenza n. 365 del 2007).
L’unità del popolo e della nazione postula l’unicità della rappresentanza politica nazionale) contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 192 del 2024 pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale, passaggio evidenziato dall’articolo di Cuore Verde; affido al Tuo giornale alcune considerazioni poiché questa sentenza offre l’occasione per fare chiarezza (spero definitiva) sugli errori madornali commessi negli ultimi trenta anni e sugli inganni orditi ai danni dei veri autonomisti.
Il paragrafo in questione è il n. 4 dei “considerato in diritto” costituisce il classico “obiter dictum”, ovverosia un passaggio incidentale che, pur esulando direttamente dall’oggetto della questione di costituzionalità sollevata, si pone tuttavia come parte integrante della motivazione e contribuisce a determinare quello che si chiama “indirizzo giurisprudenziale”, cioè una “premessa” che conduce poi necessariamente ad una conclusione.
L’estensore della sentenza, ricordando giustamente che quanto sta scrivendo è indirizzo consolidato della Corte Costituzionale, interpreta con rigore e precisione – a mio avviso – alcuni articoli della Costituzione.
La sentenza in esame ripete ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – che nella Costituzione Italiana i concetti di “popolo” e “nazione” sono utilizzati indifferentemente (e qui brutalizzo un po’ il concetto per meglio intendersi) quali sinonimi, sono visti come fossero la stessa cosa.
Nella Costituzione della Repubblica Italiana il “popolo italiano” e la “nazione italiana” sono unitari e non c’è posto, nella Costituzione Italiana, lo ripeto, per il riconoscimento di altri popoli: al massimo si possono riconoscere una manciata di minoranze linguistiche, che però restano nella Costituzione parte indefettibile della “nazione” italiana.
Il vero problema, il nocciolo della questione, non sta dunque nella lettura corretta (e direi anche inevitabile) che la Corte Costituzionale ha dato di norme peraltro chiarissime.
Il problema sta nella Costituzione medesima che ha impiegato i termini “popolo” e “nazione” (anziché “cittadini”) pur non essendo termini appartenti al “diritto” (poiché non esiste una norma che definisca cosa siano popolo o nazione), ma locuzioni che nascono dalla politica e dalla ideologia, compiendo così una chiara scelta politica ed ideologica.
Se i Costituenti avessero voluto rimanere sul terreno rigorosamente giuridico avrebbero utilizzato solo il termine cittadino o cittadinanza, che ha una definizione normativa chiara.
Impiegando invece i termini metagiuridici di “popolo” e “nazione” i Costituenti hanno voluto compiere una scelta politica ed ideologica chiara: imprimere allo Stato la forma centralista.
Popolo e nazione, lo si ripete, appartengono al mondo metagiuridico, mentre l’unico concetto definito normativamente è quello di cittadinanza, ma non esiste una definizione giuridicamente assodata di popolo o nazione: ognuno la definisce in base alle proprie adesioni intellettuali ed alla propria ideologia.
L’Assemblea Costituente fece, chiaramente, sul punto, una scelta ideologica, rifiutando di riconoscere l’esistenza dei diversi popoli che oggettivamente abitano la penisola italiana da secoli e millenni, optando per l’unitarietà del popolo italiano e facendolo coincidere con la “nazione italiana” (nozione peraltro ottocentesca e romantica).
La sacrosanta posizione della Corte Costituzionale insegna che la questione autonomista può essere risolta solo attraverso una completa riforma della Costituzione Italiana che peraltro – pur riconoscendo oggi un solo popolo ed una sola nazione – non vieta ai Costituenti di domani di riconoscere anche giuridicamente in Costituzione quei vari popoli che, nonostante la diversa visione dei Costituenti, pure esistono e resistono nella penisola: l’unico divieto di revisione riguarda infatti la forma repubblicana.
Dunque, ancora una volta va ripetuto, aveva ragione il Professor Miglio: solo una profonda revisione costituzionale può portare l’autonomia vera dei territori, ogni altra scorciatoia è una strada per l’inferno.
Le finte riforme con legge ordinaria hanno fatto solo perdere trenta anni agli autonomisti: truffe politiche per gli allocchi.
E’ ora di svegliarsi.
Ringraziamo la Corte che ha ricordato agli autonomisti che la Costituzione Italiana è centralista: e questo ci dice a che punto è la notte (ma questa è un’altra storia).
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