di Cuore Verde – Gli aspetti tecnici della legge dell’autonomia differenziata non hanno mai destato il mio particolare interesse pur rilevando che la richiesta e l’ottenimento delle materie cosiddette “no-LEP”, in particolare, rapporti internazionali e con l’Unione europea, commercio con l’estero e protezione civile, per la loro specificità, magari nell’ambito di un coordinamento delle regioni del Nord, avrebbero potuto aprire interessanti scenari di carattere geopolitico soprattutto nell’ambito padano.
Sotto il profilo politico, quello che, in definitiva, ho sempre ritenuto il più determinante, rilevavo invece la costituzione di un “FRONTE DEL NO”, nettamente contrario all’autonomia, a forte trazione “sudista”, nel quale compariva anche l’Emilia-Romagna, seppur inizialmente a favore della stessa riforma e un contrapposto “FRONTE DEL NORD”, intenzionato a far partire senza indugio le procedure di richiesta per le 9 materie per le quali non occorrono i LEP.
E’ poi intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale che ha smontato e scomposto come un cubo di Rubik la legge dell’autonomia differenziata di matrice leghista andando incontro non soltanto alle aspettative nettamente contrarie dell’opposizione ma, probabilmente, anche a quelle, seppur più velate, di rallentamento degli altri partiti di governo che sulla stessa questione non hanno mai dimostrato un particolare entusiasmo.
Non mi interessano neppure i complessi aspetti tecnici della sentenza della Consulta ad esclusione, tuttavia, di quelli contenuti nella parte della stessa che riporto qui sotto e che, dal mio punto di vista, potrebbero avere un impatto dirompente, anche di natura politica, su tutte le richieste attuali e future in materia di autonomismo e federalismo.
Qui mi preme rilevare, in particolare, l’assunto che viene tratto dalle stesse argomentazioni:
“Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali” che siano titolari di una porzione di sovranità”.
In sostanza, per quello che posso intendere, non può essere accettata alcuna richiesta di autonomia territoriale basata su criteri etnoculturali o etnofederalisti, che comporti il riconoscimento di un “popolo regionale”.
Si potrebbe citare, come esempio contrario, il caso della Confederazione Svizzera, nella quale si mantiene l’unità e l’indivisibilità dello stato ancorché costituito da Cantoni caratterizzati da riconosciute diversità etnoculturali e linguistiche, ma ritengo che le considerazioni espresse nella sentenza riguardo all’unità e all’indivisibilità della Repubblica, prevista dalla Costituzione, ovvero, alla sua integrità territoriale statale fondata sul riconoscimento dell’unità intesa come “unicità” della nazione e del popolo, al quale si attribuisce la titolarità della sovranità, potranno e dovranno essere oggetto di ulteriori ed approfondite analisi, studi e discussioni confrontando sia le argomentazioni favorevoli che quelle contrarie.
Per concludere e favorire un ampio dibattito, soprattutto negli ambienti autonomisti e federalisti, mi preme invece citare, sullo stesso argomento, i seguenti commi dei primi due articoli dello Statuto della Regione Veneto del 2012 dei quali, a questo punto, ritengo che bisognerebbe forse chiarire il reale significato:
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IL DIRETTORE RISPONDE
Caro Cuore verde, tra le tante analisi fatte da politici (ex leghisti) che si soffermano a fare valutazioni tecniche sull’autonomia, prima e dopo la sua approvazione, emergono due aspetti. Il primo, in taluni casi a favore comunque e a prescindere del provvedimento, perché considerato un “primo passo”, un varco da sostenere e difendere. Un “piuttosto che niente”. Nel secondo caso, si sono spese analisi critiche che prevedevano sfaceli. E sfaceli sono stati, sia per la difficile applicazione, contorta, bizantina, frutto di un magone mal digerito dagli alleati e quindi pieno di ostacoli da gioco di casa delle streghe, sia per un testo frutto di una propaganda elettorale e non di un percorso parlamentare ampiamente condiviso.
Ancora oggi, a fronte della bocciatura e dei rinvii, più che la questione delle competenze negate alle regioni (articolo 116, come si legge in diversi commenti), nessuno, ma proprio nessuno a parte Cuore Verde, ha fatto emergere quel passaggio, sopra evidenziato, che riguarda l’aspetto davvero identitario di un Paese. Essere un “popolo” dentro un contenitore di popoli che è l’Italia. Ci sono Statuti regionali che lo sanciscono, c’è persino il riconoscimento di alcune lingue regionali, patrimonio Unesco. Esprimono la storia di popoli che producono Pil, tasse, lavoro, cultura, contributi previdenziali, turismo, economia, mobilità, appartenenza a una storia unica…
E’ proprio la spinta che viene dal sentirsi, dall’essere “diversi” e quindi ad avere la necessità di avere percorsi con velocità e modalità alternative (come accade in altri paesi non secessionisti ma banalmente federalisti in Europa) per poter esprimere senza ritardi le potenzialità di un territorio, è questa la necessità che cerca respiro e che richiede di avere strumenti adeguati, non omologanti, per continuare a evolversi.
Ora apprendiamo che esiste un solo popolo, nazionale. I popoli regionali non hanno diritto di parola. Niente di più storicamente e concretamente ipocrita. Ma, d’altra parte, questa Lega è stata ripagata dalla consulta con la stessa moneta con la quale ha pagato la ricerca del proprio consenso, negando la questione settentrionale. La Consulta è quello che la Lega oggi rappresenta. Una sola nazione, tutti uguali. Di che si lamenta?
I presidenti delle Regioni del Nord (nella medesima barca politica) avevano già uno strumento costituzionale per poter procedere in un coordinamento macroregionale dei territori. Invece sono stati zitti, per non andare frontalmente contro il loro segretario politico. Alla fine, non avere coraggio, così come sostenere comunque da fuori quella autonomia, è stato fare da stampella ad un progetto perdente. Di più, fatale. Se ne riparla forse tra altri 30 anni, se arriva un nuovo Bossi.
Stefania Piazzo
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