Categorie: Opinioni

Il portale Diritto dell’informazione: Transizione digitale, declino della carta e preferenza dell’online. Ma non si paga per avere notizie…

di Stefania Piazzo – Il portale fondato dal prof. Ruben Razzante, Diritto dell’informazione, rilancia un significativo studio firmato Digital News Report 2024 dell’Istituto Reuters.

E’ una “risonanza magnetica” al giornalismo e all’approccio del pubblico nel cercare notizie, oltre che una fotografia sulla fluidità, sulla “liquidità con cui ci si orienta per leggere, fare pubblicità, generare il flusso di informazione e ricercarla. Letto così, viene subito da dire che il giornalismo è in una risacca.

La percezione di chi fa questo mestiere trova conferma nell’analisi. Si legge infatti che “Il mondo dell’editoria sta affrontando pressioni e incertezze a causa del calo di interesse per le notizie sulla guerra in Ucraina e in Medio Oriente, l’avanzare dei deepfake e dell’Intelligenza Artificiale, la crescita dei video, la riluttanza a pagare per le news online e il declino dei social tradizionali come Facebook e X, proprio in un anno in cui un numero record di elettori è chiamato alle urne in tutto il mondo“.

Per nostra conoscenza, il rapporto certifica una graduatoria di affidabilità, che vede in testa l’ANSA con una fiducia del 75%, a ruota SkyTG24, Il Sole 24 Ore e il Tg La7. ANSA.it è anche il terzo sito d’informazione più visitato settimanalmente (18%), dopo Fanpage e TgCom24.

E il resto?

Il rapporto evidenzia che in Italia la fiducia complessiva nelle notizie resta stabile al 34%, ma solo il 10% degli italiani paga per gli abbonamenti. La fruizione delle notizie cartacee continua a diminuire, con solo il 13% che utilizza fonti di stampa, mentre la tv cala al 65% e l’online al 69%. L’82% legge le notizie dallo smartphone. La crisi dei giornali è accelerata da un calo delle copie vendute (-37% dal 2019 al 2023) e degli inserzionisti, che ormai preferiscono altri tipi di piattaforme“.

E’ un mordi e fuggi che testimonia la fine di un’epoca, a partire da un disinteresse verso le fonti dell’informazione, anche se certificate e deontologicamente attestate. Farsi un’opinione, soprattutto avere una conoscenza dei fatti e di un confronto di idee non è una priorità. La stampa rappresenta un valore e un riferimento per un piano “più alto”, quello della comunicazione da e per le istituzioni, il cittadino non ne vede più l’essenziale utilità. E’ materia per i talk, le rassegne stampa, gli uffici stampa, i tavoli di chi fa politica o economia. Il cittadino sfoglia altro. Dal cellulare.

“La pubblicità online (58%) ha superato quella in tv (29%) e su carta stampata (5%), con Google e Facebook che dominano il mercato. A livello globale, il Rapporto Reuters registra un crollo record dell’interesse per le notizie, con il 39% degli intervistati che evita le notizie, un aumento del 3% rispetto all’anno precedente”. Qualunque cosa accada, non si percepisce la volontà di partecipare o di sentirsi parte di una comunità e quindi di capire per decidere. Ci si astiene, come alle urne.

L’astensionismo alla lettura e alla considerazione dell’importanza della comunicazione trova riscontro anche in altri dati riportati da Diritto dell’informazione. Eccoli.

Gli abbonamenti sono in stallo: solo il 17% ha pagato per le news. Il 55% degli attuali non abbonati non pagherebbe nulla per le notizie online. Sei persone su 10 (59%) sono preoccupate per la difficoltà di distinguere i contenuti affidabili da quelli inaffidabili online, soprattutto su piattaforme come TikTok e X“.

Quanto alla nuova frontiera, “C’è cautela sull’uso dell’Intelligenza Artificiale generativa per le notizie: solo il 23% degli statunitensi e il 15% degli europei sono favorevoli a testi scritti prevalentemente con l’AI. Tuttavia, il 42% negli USA e il 33% in Europa sono più propensi ad accettare notizie scritte da giornalisti con l’aiuto dell’AI“.

Resiste l’immagine. “Il formato video per la fruizione di notizie è in crescita, con il 66% che vi accede settimanalmente, soprattutto tra i giovani, mentre i podcast continuano ad essere meno considerati. La fruizione delle news dai social tradizionali come Facebook e X è in calo. Questo ecosistema più complicato e la crescente concorrenza costringono giornalisti ed editori a lavorare duramente per catturare il pubblico e convincerlo a pagare per le notizie, conclude Rasmus Nielsen, direttore dell’Istituto Reuters“.

Senza la volontà di attingere dalle fonti, senza una passione civica che nasce dall’avere amore, educazione e rispetto per la lettura, e non per lo scrollo continuo come meccanismo di acquisizione della realtà, senza una scuola e le famiglie che indirizzino a scelte consapevoli rispettando il ruolo determinante del giornalista che scrive e racconta la storia, e purtroppo, va detto, senza uno Stato che torni a supportare l’editoria, poiché il diritto di opinione è un bene sancito dalla Costituzione, costi quel che costi, anche se è a perdere, finiremo là dove non si voleva finire. E cioè biglie che vagano da una multinazionale all’altra del web. Metadati, non persone. E non è colpa dell’intelligenza artificiale. Ma della banalità del male, delle scelte improvvide delle istituzioni, della superficialità e della scarsa conoscenza. Grazie, ancora una volta, al portale Diritto dell’informazione, per aver alzato la voce.

Stefania Piazzo

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