di Stefania Piazzo – L’intervista del Corriere al presidente lombardo, Attilio Fontana, non è una “sorpresa”. A pensarci bene è normale che il governatore eletto nella regione che rappresenta il paradigma dell’Italia efficiente e produttiva, mitteleuropea, parli del Nord così come la Lega ne parlava fino a 12-13 anni fa. Diciamo che per un decennio questa questione è stata sacrificata e imbalsamata dalla dirigenza leghista per non contraddire il leader massimo Salvini, e quindi perdere aderenza rispetto ai ruoli apicali, di vertice, conquistati o concessi dal segretario federale. Tutti zitti.
In Veneto, il governatore Luca Zaia, si è fatto “i fatti suoi”, non si è mai apertamente sbilanciato contro la linea nazionaldestrorsa del Capitano. Mai un’uscita pubblica netta, forte, ma sempre smussata, moderata, da lasciar intendere. Sono scelte tattiche anche queste.
Tutti hanno, chi più chi meno, “mandato giù”, altrimenti avrebbero rischiato di essere messi fuori. Quando Fontana, al congresso della Lega Lombarda ha affermato di incazzarsi nel vedere a Roma passare alcune cose, beh, prima di lui forse si è incazzato l’elettore medio del Nord, l’imprenditore della bassa padana, l’agricoltore cremonese-mantovano, il professore lodigiano precario, la famiglia di Cinisello Balsamo che paga 8 euro al chilo il pane sotto casa. Lo studente che non trova una camera a meno di 600-800 euro al mese per studiare a Milano, la capitale di una morale che non c’è più. Il paziente che non trova liste d’attesa aperte e va nel privato a farsi curare.
I comaschi pagano la bretellina di due chilometri scarsi di Pedemontana quasi un euro a passaggio. Per andare a Lecco da Como ci vogliono in media un’ora e mezza. Se va bene. I treni che da Varese o da Como Nord vanno a Milano sono una Babele di ritardi, complicazioni. I Comuni ricevono sempre meno e i sindaci servono per l’ordinaria amministrazione, per evitare l’anarchia dei territori.
Ora i leghisti di governo ci si mettono anche col “centralizzare” i cosiddetti ristorni, una quota di tasse pagate dai frontalieri che in percentuale andava ai Comuni di frontiera, per sostenere le opere pubbliche. Macchè. La Lega difende ora la centralizzazione di quegli importi, da destinare ad altro, per i disoccupati, per la formazione di chi va riqualificato. Ma a questo non ci deve pensare la scuola? La formazione professionale che già riceve soldi dalla Regione?
Intanto Fontana “riscopre” che la Lega ha buttato dalla finestra la questione settentrionale. L’elezione di Massimiliano Romeo alla guida della Lega Lombarda ha segnato l’inizio di un punto di rottura sostanziale e non formale rispetto alla Lega senza il Nord di Salvini e dei suoi più stretti fedeli collaboratori? Quanto sono stufi di Salvini al punto da alzare la voce, magari in più di due o tre dopo Romeo e Fontana?
Quello che afferma il presidente è la piattaforma programmatica della Lega 4.0 o solo scosse d’assestamento? Dice Fontana che “problemi del Nord sono problemi nazionali. Non possiamo continuare a considerarli questioni locali. Se rallenta la produttività del Nord, si crea un danno che coinvolge tutta l’Italia (…). Che la Lega sia diventata un partito nazionale è positivo, ma questo non deve significare smettere di parlare delle difficoltà del Nord. Sarebbe un errore gravissimo. Lo sottolineano anche gli altri amministratori, a partire da Zaia: c’è bisogno che la segreteria nazionale dia più attenzione alle problematiche di questa parte del Paese. Il nostro auspicio è che ci sia un cambio di passo deciso”.
Altrimenti? Altrimenti la Lega si spacca in due? Qualcuno auspica che succeda, per uscire dall’imbonimento social che ha trasformato un partito in una molecola mediatica. O per dimenticare i voti presi da Casa Pound.
Fontana inorridisce per i 500 licenziamenti Beko al Nord, ma “questa deriva è forse il risultato di un sistema che non permette ai nostri imprenditori di competere ad armi pari con il resto d’Europa e del mondo?”. Ma poi i “suoi” come votano a Roma?
Infine, ma non ultimo: “Il problema principale del Nord è poter gestire le risorse in modo più diretto, senza i vincoli imposti da Roma. Oggi ci troviamo bloccati da una burocrazia che rallenta tutto, impedendoci di operare con i tempi richiesti dal mercato globale. Questi temi sono stati centrali nella storia della Lega, eppure, dopo due anni di governo, siamo ancora al punto di partenza. Se non affrontiamo queste questioni, rischiamo di mettere in difficoltà il Nord. E attenzione: se il Nord rallenta, crolla tutto il Paese. Non è un problema solo del Nord, è un problema italiano”. Già, la storia della Lega. Ma questa è la Salvini Premier, presidente.
Il Corriere butta lì il tema del residuo fiscale, l’attivo che cresce nel dare-avere delle tasse. “Se riuscissimo a trattenere anche solo una parte maggiore di quei 56 miliardi, ne godremmo noi al Nord e ne beneficerebbe l’intero Paese. Con più risorse disponibili, potremmo rilanciare l’economia nazionale”.
Presidente Fontana, dopo le parole, servono i fatti. Il Nord alla Lega ha da tempo già voltato le spalle. O forse le ha solo voltate alle scelte di Matteo Salvini e di alcuni suoi fedeli illuminati uomini di potere. Nomi che, se domani finisse la corsa parlamentare, tornerebbero ad essere il nulla che hanno saputo esprimere. Un ciambellone col buco intorno.
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