Categorie: Opinioni

LE RIFORME CHE SERVONO. FERME IN  UN TRENO SU UN BINARIO MORTO

di Raffaele Piccoli – Finalmente con la conclusione dei ballottaggi l’ubriacatura elettorale è terminata. Nei giorni caldi tra le europee e la seconda tornata di amministrative,  il premierato ha superato il primo si del Senato, mentre l’autonomia differenziata è passata in via definita alla Camera. Soffermarsi  sul quotidiano teatrino della politica diventa un’esercizio inutile. Le critiche dell’opposizione sono al più strumentali,  per quanto riguarda l’autonomia poi,  non entrano nel merito ma si limitano a gridare alla dissoluzione dell’unità nazionale, peraltro inesistente.

L’importante  non è questo è interessante invece, una valutazione sulla effettiva capacità del sistema istituzionale italiano di attuare le riforme che servono, quelle cioè in grado di modificare un sistema  asfittico.

Premierato. Riforma di facciata parziale e di difficile attuazione in quanto avulsa da una visione articolata delle istituzioni. Non è possibile la modifica della  Costituzione a pezzi, un intervento serio necessita di una visione complessiva sia delle istituzioni centrali, sia di quelle locali. Un paese come l’Italia con i precedenti storici che ha, con la pulsione sempre presente, verso la ricerca di  una figura, più o meno autoritaria,  che risolva i problemi a prescindere, non può permettersi un premier o un presidente eletto direttamente  in assenza di un serio assetto federale dello stato.   Non si può inoltre pensare all’elezione diretta del Primo Ministro, senza che nel contempo non si prenda in considerazione anche il ruolo e le attribuzioni del Presidente della Repubblica, e del Parlamento.   

Tutto questo non solo non si sta facendo, ma non viene neppure previsto,  inoltre le riforme a colpi di maggioranza come sappiamo,  non sono mai state risolutive.

Discorso simile per l’autonomia differenziata divenuta legge lo scorso 19 giugno, nel corso di una seduta notturna, voluta strenuamente dalla Lega dopo i “buoni” risultati delle europee. Sappiamo tutti che la legge quadro avrà tempi di attuazione biblici, che sarà sottoposta a ogni genere di tentativo di affossamento e svuotamento, ad un  probabile referendum abrogativo, oltre che alla critica serrata della conferenza Stato Regioni spaccata in due dalla visione contrapposta dei governatori del sud e del nord.   La legge appena approvata è solo una benevola elargizione del centralismo romano che tiene ben stretto il potere di revoca della concessione contrattuale delle materie delegate alla Regione (durata massima 10 anni revocabile in qualsiasi momento per esigenze superiori dello stato centrale) oltre che l’obbligo dell’attuazione del LEP costituzionali tutti da finanziare con somme stratosferiche da destinare al sud, e da reperire in un bilancio dello stato sotto procedura di infrazione europea per eccesso di debito!

Le regioni interessate (Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna) avevano già sottoscritto nel 2018  preaccordi di delega delle materie con il Governo Gentiloni. I referendum del 2017 nelle prime due e l’accordo bipartisan destra sinistra, in consiglio regionale nella terza,  sarebbero stati sufficienti a incardinare accordi separati ai sensi dell’art. 116 terzo comma della Costituzione, senza necessità di una legge quadro.

Non sfugge a nessuno che siamo dinnanzi a pure operazioni di facciata, dal futuro molto incerto, utili sia  alla maggioranza che all’opposizione al fine di permettere ad ognuno di sventolare la propria bandiera. Ai primi (Fratelli d’Italia e Lega) impegnati a dimostrare all’elettorato di riferimento l’eventuale raggiungimento degli obiettivi, all’opposizione di poter testimoniare l’impegno nel contrastare scelte dannose per il paese.

Luca Zaia, in questi giorni particolarmente euforico, ricorda che l’attuazione dell’autonomia differenziata  sarà l’ultimo treno per l’Italia perso il quale non ci saranno altre opportunità per il nord e per il sud.  A mio avviso le opportunità non sono rappresentate da questi “pannicelli caldi”. In tempi non sospetti (orami lontani) Umberto Bossi con lungimiranza disse che il sistema italiano non era riformabile dall’interno. Oggi ne abbiamo la prova.

Alle regioni Padane, strette come sempre in una morsa composta da burocrazia, rapacità fiscale, assenza di servizi adeguati, carenza di infrastrutture efficienti,  che possibilità si offrono per tentare di sopravvivere in un futuro ormai prossimo? Solo la creazione di una Macroregione Padana (possibile a costituzione invariata) in grado di confrontarsi direttamente con Roma, su un piano di parità,  rappresenta la ragionevole soluzione praticabile. 

Il problema però non è l’obiettivo, ancorché difficile da raggiungere. Il problema vero è delineato  dalla assenza di un soggetto politico sufficientemente autorevole in grado di identificare con lucidità politica il traguardo e di raccogliere il consenso indispensabile.

Redazione

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