Categorie: Opinioni

Lettera ai politici padani – Due battute sui social e finita lì, nella totale e sconfortante assenza di centri studi e di analisi

di Cuore verde – Politica e strategia. Il pensiero si trasforma in azione politica quando diventa parola, scritta e parlata.
Ho letto con attenzione l’editoriale di Stefania Piazzo, direttore de La Nuova Padania, sui “padani da tastiera”.

Ho colto il disappunto e il rammarico di chi, da anni, mette a disposizione di tutti la sua testata per esprimere liberamente le proprie idee e trova scarso riscontro proprio da parte di un certo mondo “federalista e autonomista” più intento a specchiarsi narcisisticamente nei blog e nelle chat che a produrre un pensiero politico originale e innovativo: “Eppure, nonostante la fatica, lo sforzo di creare uno spazio libero come la Nuova Padania, non suscita da parte del mondo che si dichiara federalista, autonomista, la voglia di scrivere una rigaDi usare un giornale come strumento per fare politica“. 

Condivido quel senso di solitudine. Premetto che sono un “autodidatta”, non intendo elevarmi al ruolo di intellettuale elitario e non cerco consenso ma, semplicemente, desidero condividere le mie “scoperte” che ogni tanto mi capita di fare nel mondo un po’ dimenticato del pensiero padanista. Condividere per alimentare un confronto anche dialettico sulle idee per il futuro politico della Padania nella sua dimensione geopolitica e geofilosofica. E per questo ringrazierò sempre il direttore Stefania Piazzo.  

Non si può certo negare che l’esperienza della Lega Nord originaria degli anni ’90 abbia creato in molti un comune sentimento di “padanità”, magari un po’ vago e confuso ma ancora resistente nonostante certe svolte “nazionaliste”.

Tuttavia, ci si accorge di non aver pensato al dopo e di essersi fermati a questo vago sentimento senza una profonda elaborazione di pensiero politico. Nessuno parla più di “libertà’” dei popoli padani e si avverte che la parola “federalismo” diventa retorica nella bocca degli stessi federalisti. Si scopre che nessuno, in questi anni, ha saputo dare alla Padania, intesa nella sua complessità etno-culturale, a parte alcune eccezioni come l’esperienza dei Quaderni Padani di Gilberto Oneto, dei grandi luoghi mentali di memoria e pensiero politico, comuni e autentici, e coltivarli. Pensiero politico da intendersi non come pura e astratta contemplazione, bensì come misura critica e concreta del presente e dei problemi che riguardano tutti e sui quali il cittadino è chiamato a prendere posizione. 

Il pensiero politico, tuttavia, diventa “azione” quando esce dal privato ed entra nel dibattito pubblico. Per questo l’elaborazione di pensiero deve trovare forma concreta dapprima nella parola scritta e poi, conseguentemente, in quella parlata del discorso pubblico.    

In questo senso, chi ancora coltiva quel sentimento originario della Padania, nessuno escluso, è chiamato al ruolo di “intellettuale padano” esprimendo con la parola scritta il senso compiuto delle proprie idee. Ci si accorgerà spesso di essere come dei missionari fra gente che ha dimenticato le proprie origini e la propria storia. Uno stimolante senso pioneristico. Ecco quindi definito nelle parole di Franco Monteverde, noto esponente della cultura ligure, il ruolo dell’intellettuale:        

Prima di andare oltre, però, non può essere evitato un interrogativo inquietante, almeno per chi, come l’autore di queste pagine, è impegnato nella vita culturale della comunità in cui vive e lavora: è davvero finito il ruolo dell’intellettuale? Per tutti gli uomini, la responsabilità sociale principale è quella di fare bene il proprio lavoro: per un intellettuale, invece, esiste un impegno aggiuntivo, che potremmo definire di secondo livello, che è rivolto non solo alla propria coscienza, ma anche all’intelligenza di coloro ai quali si rivolge.  

Se deve stare sempre dalla parte della verità, un intellettuale non deve mai portare nessun obolo, avviluppato in una confezione ottimista, a favore di qualche buona causa; il suo impegno consiste nell’interrogarsi sulla società, rifiutando risposte edificante, equilibrate, mediatrici, cui già provvedono i politici ed i chierici di stato .” (da “Liguria Sovrana: una proposta per uscire dalla crisi politica di Genova” – Genova – ed. De Ferrari, 1999).  

Per questo motivo, secondo me, nella totale e sconfortante assenza di appositi centri studi e di analisi politica (“think tank”), La Nuova Padania rappresenta un’occasione praticamente unica per tutti i padanisti di elaborare le proprie idee e confrontarsi con la parola come nelle antiche polis greche in un dibattito realmente costruttivo per il futuro politico dei popoli padani. Uno spazio per costruire i luoghi mentali di memoria e di pensiero politico.     

Redazione

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