di Matteo Rigamonti – In questo articolo affrontiamo due temi chiave per il futuro dell’Italia: l’immigrazione e il sistema contributivo. Con un declino demografico e un progressivo invecchiamento della popolazione, il nostro Paese deve fronteggiare sfide importanti per garantire la sostenibilità economica e previdenziale.
Tuttavia, molte delle proposte politiche sembrano puntare più a ottenere consenso elettorale che a fornire soluzioni concrete per risolvere i problemi strutturali del Paese. Analizzeremo dunque le opportunità e i limiti dell’immigrazione in relazione al sistema contributivo e la necessità di un approccio più trasparente e onesto su questo tema.
Il dibattito sulla necessità di incrementare la forza lavoro attraverso l’immigrazione è spesso
accompagnato da argomentazioni superficiali e allarmistiche riguardo alla crisi demografica. La
demografia è una scienza complessa che richiede un’analisi approfondita e un’osservazione prolungata
nel tempo. Parlare di crisi demografica come se fosse un fenomeno recente o inedito è fuorviante. Anche
in passato, il problema demografico era riconosciuto dalla politica, e nemmeno allora si aveva ben chiaro
come risolverlo. Nelle menti dei cosiddetti grandi pensatori politici di qualche tempo fa, limitate però
nella loro visione, e di qualche improvvisato dei tempi nostri, si pensò addirittura di istituire la grottesca
Tassa sul Celibato, come se tassare i single potesse miracolosamente aumentare le nascite. Oggi c’è
ancora chi crede che incentivare la popolazione a fare più figli sia la panacea di tutti i mali, senza rendersi
conto che, senza un reale benessere economico e sociale, queste misure sono destinate a fallire.
Nonostante ciò, si tende a usare questa presunta crisi per promuovere soluzioni affrettate, come quella di
attrarre immigrati per sostenere il sistema previdenziale, senza affrontare il vero problema: la mancanza
di politiche efficaci per incentivare il benessere e la stabilità economica della popolazione.
Il sistema contributivo italiano ha subito diverse trasformazioni, ma resta uno dei pilastri fondamentali del
nostro welfare. Ha garantito per anni dignità economica a chi ha concluso la propria vita lavorativa,
consentendo a milioni di persone di vivere una vecchiaia decorosa. Purtroppo, oggi affrontiamo una realtà diversa: il sistema è in crisi e richiede riforme profonde per garantirne la sostenibilità nel lungo termine.
L’idea che l’immigrazione possa risolvere automaticamente questa crisi è illusoria.
In Italia, la maggior parte dei migranti svolge lavori a bassa retribuzione e, quindi, il loro contributo al
sistema pensionistico è minimo. Secondo i dati forniti dall’ISTAT e dal Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, gli immigrati sono prevalentemente impiegati in settori come l’agricoltura, l’edilizia, i
servizi domestici e di cura, la ristorazione e l’ospitalità. Le mansioni svolte in questi settori sono
caratterizzate da retribuzioni mediamente più basse rispetto ad altri ruoli professionali, il che si riflette in
contributi previdenziali più limitati versati al sistema pensionistico. A differenza di altri paesi europei, che
attirano immigrati qualificati in grado di contribuire in maniera significativa all’economia, l’Italia vede i
propri giovani laureati attratti da queste nazioni, che offrono retribuzioni più elevate e maggiori
opportunità professionali. Gestire i flussi migratori in maniera indiscriminata, senza una strategia chiara,
non può che peggiorare la situazione, portando ulteriori squilibri economici.
Ad esempio, i contribuenti nella fascia di reddito più bassa, sebbene siano circa 10 milioni di persone,
contribuiscono solo al 4% del totale dell’IRPEF raccolta dallo Stato. Poiché i dati dettagliati dell’INPS sulle
contribuzioni previdenziali non sono disponibili, non ci resta che utilizzare l’IRPEF come riferimento.
Affidarsi a questa forza lavoro per sostenere il sistema contributivo italiano è un errore strategico.
In questo contesto, non possiamo trascurare l’effetto che il sistema fiscale italiano ha sul miglioramento
della condizione economica dei cittadini. Il sistema attuale, con le sue aliquote progressive e le numerose
detrazioni, può sembrare equo, ma di fatto frena la crescita individuale. Le fasce di reddito più basse
godono di agevolazioni fiscali e detrazioni che, se da una parte assicurano il minimo indispensabile per
vivere, dall’altra non incentivano in alcun modo il miglioramento economico.
Anzi, paradossalmente, questa artefatta struttura di detrazioni non risolve la povertà, ma la mantiene,
impedendo ai cittadini di poter crescere economicamente e di aspirare a un miglioramento del proprio
tenore di vita in modo corretto e senza eludere le tasse. In pratica, chi si trova in queste fasce di reddito è
incentivato a rimanervi, poiché un aumento di reddito comporterebbe un incremento esponenziale del carico fiscale e la perdita delle agevolazioni, rendendo economicamente svantaggioso cercare di
migliorare la propria posizione. Peggio ancora, questo sistema può promuovere il ricorso al lavoro nero,
dove alcune persone, illegalmente, cercano di guadagnare qualcosa in più senza rinunciare alle esenzioni
e alle detrazioni fiscali.
Una riforma fiscale che renda il sistema più flessibile e meno penalizzante per chi cerca di guadagnare di
più è essenziale se vogliamo costruire una società più dinamica e capace di prosperare.
Va però ricordato che il nostro sistema di welfare, per quanto migliorabile, garantisce un aiuto dignitoso
a chi è inabile al lavoro. Il ragionamento qui esposto è rivolto a chi è effettivamente in grado di lavorare e
contribuire al sistema economico del Paese. Per queste persone, il problema principale è rappresentato
dalla difficoltà di uscire dalla condizione di povertà a causa di un sistema fiscale e contributivo che
penalizza chi tenta di migliorare la propria condizione economica.
Facendo un piccolo esempio attingendo ai nostri ricordi della scuola elementare, possiamo notare che
già nell’Impero romano la concessione della cittadinanza non era uno strumento di integrazione, bensì
un modo per consolidare il dominio politico. Troviamo innumerevoli esempi nella storia, dall’antica Roma
fino ai tempi moderni, in cui la cittadinanza veniva concessa per motivi politici ben precisi. Nell’Impero
romano, estendere la cittadinanza serviva a rafforzare il controllo sulle province e ad aumentare le entrate
fiscali. In epoche successive, monarchie e imperi hanno spesso utilizzato la cittadinanza come mezzo per
assimilare territori conquistati o consolidare il potere su popolazioni diverse. Anche durante il periodo
coloniale, alcune potenze europee concedevano la cittadinanza agli abitanti delle colonie per legittimare
il proprio dominio. Diciamocelo: non si trattava certo di integrazione, ma piuttosto di un mezzo per
ottenere più controllo e influenza politica.
E non è che la storia sia cambiata poi tanto: le concessioni di
cittadinanza hanno spesso avuto motivazioni politiche ben precise, piuttosto che sociali o economiche.
Analogamente, la concessione della cittadinanza agli immigrati in Italia tramite lo ius scholae sembra più
una strategia politica per ampliare il bacino elettorale che una soluzione concreta ai problemi strutturali
del Paese. La cittadinanza dovrebbe essere il risultato di un percorso di integrazione vero e completo,
non un automatismo basato su presenze scolastiche. Questo rischia di svuotare di significato la
cittadinanza stessa, trasformandola in un semplice strumento elettorale.
In conclusione, molte delle proposte attuali sembrano basarsi più su logiche di consenso elettorale che
su analisi reali delle problematiche del Paese. Per garantire un futuro sostenibile, l’Italia ha bisogno di
decisioni basate su analisi realistiche e obiettivi concreti, piuttosto che su soluzioni temporanee che
puntano a raccogliere consensi a breve termine. Le possibilità di migliorare queste condizioni sono nelle
mani di coloro che amministrano la cosa pubblica, ma anche noi cittadini abbiamo un ruolo fondamentale.
È nostro dovere scegliere con attenzione chi avrà questo potere, partecipando attivamente alla vita
democratica e informandoci sui temi che ci riguardano.
Dobbiamo appassionarci ai problemi del nostro territorio non pensando solo al nostro interesse
personale, ma ragionando sul miglioramento del sistema Paese. Evitiamo di credere a chi cerca di farci
prendere decisioni “di pancia”, basate su emozioni momentanee piuttosto che su dati e analisi concrete.
Ogni tanto, sarebbe utile guardare indietro nella storia per capire come situazioni simili sono state
affrontate in passato. Non perché tutti dobbiamo essere esperti di storia, ma almeno per evitare di cadere
nelle stesse trappole e di credere al primo imbonitore di moda del momento.
“Oltre il 38% dei lavoratori lombardi percepisce meno di 20.000 euro lordi annui, e più…
La premier Giorgia Meloni si smarca, nel momento della verità. L'astensione di Fdi sulla risoluzione…
La forte scossa di terremoto avvertita questa notte a Napoli ha avuto come epicentro la zona dei…
di Giovanni Cominelli - Gli eventi mondiali dell’ultimo mese hanno messo in questione la storica…
"Esprimiamo forte preoccupazione per le ricadute sulla produzione aziendale dovuta ai rincari di gas e…
"Salvini ha portato il suo partito, Lega Salvini Premier, in un vicolo cieco. Si e' fatto un…
Usiamo cookie per ottimizzare il nostro sito web ed i nostri servizi.
Leggi tutto