Categorie: Opinioni

Trump ha rotto tutti gli equilibri. Le grandi regioni d’Europa non hanno nulla da dire e da fare per dialogare oltre gli Stati centrali “rassicuranti”?

di Cuore Verde – L’iniziativa di Trump per negoziare una soluzione al conflitto in Ucraina ha suscitato un forte dissenso nelle istituzioni europee, che stanno ora sviluppando un ambizioso piano di riarmo da 800 miliardi di euro per affrontare una nuova minaccia russa, considerata imminente.

Questo improvviso cambio di strategia si evidenzia dopo tre anni di conflitto limitato al fronte ucraino, durante i quali ci si aspettava che il costante sostegno occidentale portasse alla “vittoria finale” contro la Russia, evidenziando le tensioni interne e la necessità di un ripensamento strategico nell’approccio europeo alla sicurezza. 

Si evidenzia una tensione crescente sulla scena geopolitica, in cui l’Unione Europea cerca di ristabilire con urgenza un equilibrio di potere, una nuova “entropia”, e perseguire obiettivi di sicurezza che sembrano allontanarsi dalla potenziale risoluzione pacifica del conflitto. 

La politica estera americana, con il suo approccio assertivo, ha creato tensioni non solo tra le grandi potenze, ma anche all’interno dell’Europa stessa, esponendo le debolezze nei meccanismi di cooperazione dell’UE, evidenziando una gerarchia interna, dove le decisioni più importanti vengono prese a favore di alcuni, in particolare del duopolio franco-tedesco, trascurando le necessità di altri, e alimentando così un senso di alienazione tra i membri più piccoli o indeboliti dal peso del debito pubblico. 

In questa fase di incertezze e conflittualità, caratterizzata anche da questioni come la politica dei dazi, una vera e propria guerra commerciale, è fondamentale, a tutti i livelli di gestione del potere, porsi domande chiave che possano aprire la strada a percorsi politici alternativi.  

La “fine del multilateralismo”, in particolare, potrebbe segnare un cambiamento significativo nel panorama geopolitico, creando un contesto di sfiducia tra gli stati e rendendo difficile il raggiungimento di obiettivi comuni. Tuttavia, questo scenario potrebbe offrire anche l’opportunità di riformare le istituzioni internazionali, promuovendo un approccio più democratico e decentralizzato che valorizzi le dinamiche regionali e locali. Un vero federalismo  che coinvolga le comunità locali con una mentalità innovativa ed una pianificazione strategica per affrontare le sfide future.  

L’eventuale coinvolgimento delle “comunità locali”, in una prospettiva futura derivante dal rivolgimento degli attuali assetti geopolitici, richiede, in retrospettiva, una riflessione approfondita sul mancato “coordinamento delle regioni del Nord”, un strumento rappresentativo che potrebbe essere importante per sfruttare il potenziale di queste aree e potenzialmente capace di influenzare le dinamiche politiche ed economiche sia a livello nazionale che internazionale. 

È un fatto storico che i presidenti di regioni leghiste non abbiano mai avviato processi di coordinamento o iniziative comuni, limitando così le opportunità per le regioni padane di emergere come attori rilevanti in un contesto come quello attuale di crescente instabilità geopolitica. Questa situazione costituisce un freno per un potenziale significativo, soprattutto in un’epoca di possibile fine del multilateralismo, in cui è fondamentale costruire un futuro condiviso al di fuori dei paradigmi ereditati dal dopoguerra. 

Non è una questione di “fantapolitica” perché, nonostante le solite resistenze “romane”, la legge per l’autonomia differenziata, tra i pochi punti di effettivo rilievo, prevede l’assegnazione alle regioni di materie importanti proprio come le relazioni internazionali e il commercio estero, evidenziando l’importanza di una dimensione politica oltre a quella amministrativa.  

Una crescente instabilità geopolitica e la conseguente crisi delle strutture sovranazionali potrebbe generare negli stati ad esse appartenenti e costruiti attraverso processi storici, una crisi nei rapporti tra il potere centrale e le “realtà regionali” che potrebbero non più sentirsi adeguatamente tutelate soprattutto sotto il profilo economico e fiscale. Le identità locali o regionali potrebbero quindi tornare ad emergere.

Non si tratta di ipotizzare improbabili e controproducenti scenari secessionisti ma di prevedere e soddisfare in anticipo concrete richieste di autonomia e maggiore partecipazione nei processi politici fondamentali come quelli della politica estera e degli scambi commerciali internazionali nei quali dovrebbero subentrare anche i rappresentanti delle regioni.  

Il potere centrale cercherà sempre di mandare messaggi rassicuranti ma i momenti di crisi epocale possono incrinare il principio di gerarchia e lasciar pervenire ai cittadini un senso di incertezza e insicurezza. È un terreno potenzialmente fertile per movimenti regionalisti o autonomisti, nel quale si potrebbero inserire espressioni di nostalgia storicala ricerca di ispirazione nel passato, fenomeno che può manifestarsi in modi diversi ma che deve filtrare necessariamente attraverso una rielaborazione ed una sintesi politico-culturale che consenta di collegare il passato alle vicende presenti senza cadere in eccessi “nazionalisti”.

L’assenza di programmi di insegnamento delle lingue e della storia locale a livello regionale nel Nord padano nel settore culturale rappresenta un’altra grave lacuna, poiché limita la valorizzazione delle identità culturali e la consapevolezza rispetto alle proprie radici e alla propria storia con evidenti riflessi nelle scelte politiche.  

Quando il futuro appare incerto, il passato diventa un punto di riferimento e l’idea di progresso lineare potrebbe essere messa in discussione. La storia insegna che le esperienze passate non sono mai completamente superate; possono riemergere e influenzare le scelte future. Occorre una riflessione critica sulle interazioni tra politica, identità e storia, perché le crisi epocali possano rivelare le radici profonde delle società. In questi momenti, possono riaffiorare antiche dinamiche sociali e comportamentali, che, seppur considerate superate e invisibili, riemergono con forza evidenziando una continuità storica che sfida la percezione di progresso e modernità che pretende di far coincidere lo stato con la nazione.  

In questo contesto di crisi geopolitica, i “popoli regionali” potrebbero trovare un’opportunità per riaffermare la propria identità e il proprio valore culturale, metaforicamente “rientrando dalla finestra” che si potrebbe aprire con la fine del multilateralismo, dopo essere stati fatti uscire dalla “porta”, ovvero, negando la loro esistenza.

Questa rinascita culturale potrebbe generare non solo un rinnovato senso di appartenenza, ma anche soluzioni politiche in risposta ai conflitti e alle tensioni globali. Le leadership territoriali hanno pertanto lo storico compito  di adattarsi a queste nuove e imprevedibili prospettive, poiché la loro indifferenza potrebbe comportare l’esclusione dei popoli e delle comunità locali che esse rappresentano dai processi decisionali e dai benefici dello sviluppo di un nuovo mondo che attende ancora di essere pienamente immaginato e realizzato. 

Redazione

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