di Roberto Gremmo – Nella prima metà dell’Ottocento il capo del governo sabaudo Solaro della Margarita era contro l’unità d’Italia e voleva legare il Piemonte alla Svizzera.
Non v’é da stupirsi se la storiografia ufficiale lo ha cancellato, specie in questi giorni in cui impazza la peggior demagogia patriottarda.
Eppure, questo cuneese con l’occhio lungo arrivò ad un passo dal cambiare la storia non solo della nostra sfortunata “Nassion Piemontèisa” ma dell’intera Europa.
Accadde nel 1844 quando Solaro, con un autorevole passato di pensatore e di diplomatico era da quasi un decennio primo ministro dell’inquieto ed irrequieto Carlo Alberto, il Savoia Carignano, giunto a regnare sul Piemonte solo perché l’ultimo rampollo del ramo storico ed ufficiale della Casata non aveva eredi diretti.
In quell’anno che per poco non fu davvero fatale, il Cantone svizzero del Vallese, tradizionalmente cattolico, venne aggredito dalle truppe dei “Corpi Franchi” dei Cantoni protestanti.
La Svizzera fu ad un passo dall’andare a pezzi e la piccola regione montanara vallesana cercò e trovò subito l’appoggio degli altri Cantoni cattolici di Schwyz, Uri ed Unterwalden ma tutti insieme faticarono a respingere il fortissimo attacco dei nemici, soprattutto perché mancavano i fondi per le armi e l’equpaggiamento.
Ai limite della disperazione, i vallesani spedirono a Torino due messaggeri, il generale Kalbermatten ed il conte Maurizio de Courten che chiesero auto a Carlo Alberto mosrandosi pronti a porsi sotto la sua protezione, accettandolo come Sovrano, purché inviasse dei soldati in loro aiuto e concedesse il prestito di un milione a fondo perduto per l’acquisto del’equipaggiamento necessario alla difesa dei cattolici aggrediti che s’erano uniti in una lega detta “Sonderbund”.
Il primo ministro Solaro pensò di poter cogliere l’attimo.
Convinto da sempre che il destino storico del Piemonte fosse solo e sempre quello di ‘Stato cuscinetto’ fra l’Europa continentale e la Penisola italiana, legato da buoni rapporti sia da un lato che dall’altro ma indipendente da tutti, Solaro chiese a Carlo Alberto di appoggiare i cattolici svizzeri aggrediti mandando il suo esercito a soccorrere i pacifici montanari disperati.
Come scrisse egli stesso, era certo che le truppe dell’esercito piemontese “avrebbero probabilmente preso l’offensiva e con facilità liberato l’intiera Svizzera dalla peste dei Corpi franchi”.
In questo modo, l’antico Piemonte che già era unito alla Savoia si sarebbe ancor più ‘alpinizzato’, diventando un vero Stato multilingue, con un’economia sempre più montana ed eco-compatibile, naturalmente pacifico e neutrale.
Quello che per qualche piemontese fuori tempo come chi scrive era e resta un sogno meraviglioso.
Ma il sovrano sabaudo aveva altre (e un po’ da megalomane) ambizioni, agognando la conquista della Lombardia e non se ne fece nulla.
Per i cattolici svizzeri fu un dramma che per fortuna portò di lì a poco ad un compromesso costituzionale che, comunque, garantì l’autonomia di tutti i Cantoni.
Il Piemonte si avventurò invece sulla via impervia e piena di rischi dell’unione con la Lombardia; una strada insanguinata, finita nella tragedia e nel lutto quando nel 1848 Carlo Alberto mosse guerra all’Austria, perdendo alla “Bicocca” e finendo per dover lasciare Torino per un doloroso esilio.
Intanto però Solaro se n’era dovuto andare, perché non condivideva nulla della politica del Sovrano, specie da quando l’instabile Carignano aveva assunto un atteggiamento sempre più favorevole alle intemperanze anti-papali di massoni e mangiapreti scatenati.
Comunque sempre in politica come deputato, in due pubblicazioni lucidissime, il “Memorandum storico politico” del 1854 e lo “Sguardo politico” del 1864, il Conte spiegò chiaramente che la sua posizione a favore dell’espansione piemontese sulle Alpi e non verso la pianura Padana non era un’espediente tattico ed una suggestione transitoria ma il cardine d’una strategia ‘piemontesista’ frutto di meditate e lucide considerazioni.
Sia chiaro, Solaro non disprezzava l’Italia ma riteneva che il Piemonte ne fosse, per storia, tradizione, mentalità e lingua, fondamentalmente marginale se non addirittura estraneo.
Ricordava infatti che il Piemonte era una Nazione ben definita e non andava confuso col resto d’Italia e “vergogna sarebbe porla in oblìo, tristizia rinunziarvi”.
Unire questo Popolo a vocazione alpina con quelli di cultura mediterranea sarebbe stato “confondere nei flutti dell’Adriatico le acque del Po, che vi perdono come l’ultimo dei ruscelli il nome”.
E certamente mostrava non poca lucidità quando con tutte le forze respingeva quella che definiva “fantastica idea di Risorgimento nazionale, falsa in teoria, funesta in pratica” se si pensa che le avventure militariste che passano sotto questo nome roboante portarono alla povera Gente del Piemonte solo lutti e rovine, oltre che l’odio delle Regioni invase, specie del Sud dove “piemuntisi” a nostro disdoro é sinonimo di colonizzatore e d’imperialista aggressore.
In realtà, l’unione d’Italia non ha solo rovinato un Regno florido com’era quello delle Due Sicilie e tolto al Papato dei territori che vivevano pacificamente ma é stato funesto anche per il Piemonte e proprio Solaro, profeticamente aveva scritto che unendosi con il resto della Penisola, l’antica Terra subalpina sarebbe diventata solo una marginale “provincia d’un Regno”, dominata da qualcun’altro.
L’ultima pubblicazione di Solaro fu un opuscolo di denuncia dell’infame massacro di Torino del settembre 1864 quando le truppe ormai solo italiane ammazzarono decine di cittadini inermi che protestavano per il furto della capitale.
Era una vera e propria “strage di Stato”.
Il Piemonte troppo fedele e disciplinato iniziava a pagare un prezzo molto alto.
Nei suoi appunti sul Risorgimento, Antonio Gramsci che era un convinto italianista definiva il conte Solaro portabandiera dei “nazionalisti piemontesi esclusivisti” senza voler capire che il suo patriottismo non voleva superare il Ticino.