Si tratta di un risultato di cui non possiamo essere affatto orgogliosi. Tra i 27 Paesi dell’UE, l’Italia presenta lo stock di debiti commerciali in rapporto al Pil più elevato di tutti. Se nel 2023 la nostra Pubblica Amministrazione (PA) ha accumulato mancati pagamenti ai propri fornitori pari a 2,8 punti percentuali di Pil, al secondo posto scorgiamo il Belgio con il 2,7 e al terzo il Lussemburgo con il 2,4. Tra i nostri principali concorrenti commerciali segnaliamo che la Spagna registra una incidenza dello 0,9 per cento del Pil, la Francia dell’1,6 e la Germania dell’1,9. In valore assoluto, i mancati pagamenti della nostra PA ammontano a 58,6 miliardi di euro e sono in costante crescita dal 2020 (vedi Graf. 1). La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi della CGIA.

Persiste l’abuso di posizione dominante
I ritardi/mancati pagamenti della nostra PA sono un malcostume che ci trasciniamo da molti decenni. Va comunque segnalato che negli ultimi anni la situazione è migliorata; le Amministrazioni dello Stato sono diventate più tempestive nel saldare le fatture entro i termini previsti dalla legge. Tuttavia, faticano a smaltire lo stock accumulato negli anni precedenti, penalizzando soprattutto le piccole imprese che, a differenza delle grandi, hanno un potere negoziale molto contenuto. Anzi, spesso sono vittime predestinate dell’abuso della posizione dominante di cui dispongono i dirigenti/funzionari degli organi costituzionali, degli enti, degli istituti, delle autorità e delle fondazioni dello Stato con cui sono costrette a rapportarsi.
Nel 2023 non pagate fatture per 10,6 miliardi. Nei primi 6 mesi del 2024 altri 5,8. Colpa del PNRR?
Secondo i dati della Ragioneria Generale dello Stato (RGS), nel 2023, ad esempio, a fronte di quasi 30,5 milioni di fatture ricevute da tutte le nostre Amministrazioni Pubbliche, per un valore economico pari a 185,1 miliardi, l’importo pagato è stato di 174,5 miliardi di euro. Vuol dire che i mancati pagamenti hanno toccato i 10,6 miliardi di euro. Nel 2022, invece, erano stati 9 e nel 2021 8,2 (vedi Graf. 2). Sebbene, le transazioni commerciali pagate entro i termini siano in aumento, in valore assoluto le cifre rimangono in crescita e spaventosamente elevate. Anche nei primi 6 mesi del 2024, a fronte di 15,3 milioni di fatture ricevute per un importo dovuto di 95 miliardi di euro, entro settembre dello scorso anno ne sono state pagate per un importo di 89,2 miliardi; pertanto non sono state onorate fatture per un importo di 5,8 miliardi di euro. Non è da escludere che con la messa a terra delle opere pubbliche legate al PNRR, la situazione sia destinata a peggiorare. Senza contare che è sempre più diffusa la richiesta, avanzata dai funzionari/dirigenti pubblici alle imprese esecutrici delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture Chi ritarda o non paga? Soprattutto lo Stato centrale
Le Amministrazioni pubbliche sono composte dalle Amministrazioni
dello Stato dalle Regioni e le Province autonome, dal Servizio sanitario, dagli Enti locali, dagli Enti pubblici nazionali e da Altri Enti.
Sempre secondo i dati della RGS, nel 2023 tra tutte le divisioni pubbliche lo Stato centrale è quello che ha registrato la performance
peggiore. Ha saldato “solo” il 92,8 per cento delle fatture ricevute, non ha pagato 1,4 miliardi di euro e ha onorato gli importi entro i termini
solo nel 69,3 per cento del totale.
Quasi la metà dei Ministeri è in ritardo
Ancorchè negli ultimi anni la situazione generale stia migliorando, dall’analisi dell’Indice di Tempestività dei Pagamenti (ITP)5 del 2024 riferito ai ministeri italiani abbiamo notato che 7 su 15 hanno pagato mediamente oltre i termini di legge. La situazione più critica ha
interessato il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale che ha pagato con un ritardo medio annuo di 13,13 giorni. Seguono il Ministero
della Cultura con 10,94 giorni, il dicastero dell’Interno con 10,71, il Turismo con 10,45, la Salute con 4,516, la Giustizia con 4,06 e le
Infrastrutture e i Trasporti con 2,46. Per contro, i dicasteri più efficienti nel pagare sono stati l’Ambiente con 20,91 giorni di anticipo,
l’Università e la Ricerca con 15,45 e il Made in Italy con 13,85. Sempre nel 2024, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha
pagato con un anticipo medio di 8,48 giorni.
Male anche ANSFISA, ANAS ed ARAN. Sempre nel 2024, tra le Amministrazioni centrali che registrano un comportamento non conforme alla legge, segnaliamo, in particolare, l’ANSFISA7 che ha onorato le fatture ricevute con 20,64 giorni di ritardo, l’ANAS – che presenta un fatturato di 3,9 miliardi – con 15, l’ARAN con 13,12 e l’ANBSC con 7,41. Infine, è alquanto singolare che un soggetto come GSE Spa non abbia ancora aggiornato il dato medio 2024. Gli ultimi dati resi disponibili da questo gestore, infatti, sono riferiti al III e al II trimestre entrambi del 2024, con l’ITP rispettivamente del +0,54 e del +13,17. Da “deplorare” anche il comportamento tenuto dall’ANCI che nel proprio sito internet ha come ultimo dato disponibile medio annuo quello ascrivibile al 2018 (con 13,16 giorni medi di ritardo).
Ma per la Cassazione se la PA non paga non è un problema
Secondo la Corte di Cassazione, il ritardato pagamento della PA rappresenta un evento prevedibile e ricorrente. Pertanto, l’imprenditore
che non dispone di liquidità non può non versare le imposte all’erario, imputando questa decisione alla omessa/ritardato pagamento da parte
dell’Amministrazione pubblica per cui lavora. Anche nel caso, come quello giudicato dalla Cassazione l’anno scorso, in cui l’azienda interessata operi solo ed esclusivamente per committenti pubblici.
Insomma, una sentenza choc che “viola” uno dei principi cardine del nostro stato di diritto: la legge deve essere osservata da tutti, sia dai soggetti privati sia da quelli pubblici.
Perché la PA fatica a pagare
Le principali cause che hanno originato a questa cattiva abitudine che ci trasciniamo da decenni sono le seguenti:
• la mancanza di liquidità da parte del committente pubblico;
• i ritardi intenzionali;
• l’inefficienza di molte amministrazioni a emettere in tempi
ragionevolmente brevi i certificati di pagamento;
• le contestazioni che allungano la liquidazione delle fatture.
A queste cause ne vanno aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto, nel gennaio del 2020, la Corte di Giustizia europea
a condannarci. Esse sono:
• la richiesta, spesso avanzata dalla PA nei confronti degli esecutori delle opere, di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei
lavori o l’invio delle fatture;
• l’istanza rivolta dall’Amministrazione pubblica al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo.
• Bisogna consentire la compensazione tra debiti fiscali e crediti commerciali
Per risolvere questa annosa questione che sta mettendo a dura prova la tenuta finanziaria di tantissime Pmi, per la CGIA c’è solo una cosa da
fare: prevedere per legge la compensazione secca, diretta e universale tra i crediti certi liquidi ed esigibili maturati da una impresa nei confronti della PA e i debiti fiscali e contributivi che la stessa deve onorare all’erario. Grazie a questo automatismo risolveremmo un problema che ci trasciniamo appresso da decenni. Senza liquidità a disposizione, infatti, tanti piccoli imprenditori si trovano in grave difficoltà e in un momento così delicato per l’economia del Paese.