“E’ difficile immaginare che ci sarà una selezione, tu sì, tu no. Mi sembra più semplice dal punto di vista organizzativo immunizzare anche chi dovrebbe avere già sviluppato le difese. La finalità di una campagna di vaccinazione di massa è quella di dare la massima protezione possibile alla comunità”. Così Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive, in una intervista al Corriere della Sera, commenta le parole del commissario per l’emergenza Arcuri secondo cui chi è stato positivo non verrà vaccinato per primo e né per secondo.
E spiega che fare la profilassi dopo essere guariti non è rischioso: “Tutt’al più il vaccino funge da richiamo. Una seconda dose che si aggiunge a quella naturalmente indotta dall’infezione da Sars-CoV-2. Un’altra considerazione. Almeno il 3% degli italiani, probabilmente il doppio, sono stati contagiati ma sono rimasti asintomatici e non sanno di essere immuni” e “a maggior ragione, non sapendo di avere gli anticorpi, andranno a fare il vaccino. Sarebbe anti economico sul piano organizzativo andare a distinguere con i test sierologici i cittadini suscettibili al virus da quelli che lo hanno già incontrato”, “l’infezione naturale produce una stimolazione superiore a quella indotta dalla profilassi. Però nel caso del Sars-CoV- 2 sono da mettere in conto diverse incognite. Non sappiamo quanto dura l’immunità in chi si è ammalato. Inoltre, sono stati descritti diversi casi di reinfezione dopo la guarigione. In più è stato visto che alcuni pazienti dopo la malattia non hanno conservato gli anticorpi. Sono tre caratteristiche speciali di questo virus e servono ancora studi di approfondimento”. Ma concorda sul fatto che “a parità di età e di fragilità dovuta a altre patologie, è più urgente vaccinare i cittadini suscettibili al virus”. Quindi precisa che se i vaccini superano l’esame delle agenzie regolatorie “sono sicuri, possiamo esserne certi. Vacciniamoci. L’unica incognita è se, oltre a prevenire le forme gravi di Covid in una percentuale che va dal 90 al 95%, a seconda del farmaco, impediscono la trasmissione del virus. La probabilità di questa seconda efficacia è molto alta” ma “non illudiamoci. Innanzitutto bisognerà ricevere una doppia inoculazione, a distanza di circa un mese l’una dall’altra. Bisogna aspettare prima di poter allentare le misure di distanziamento”. Souega che al momento l’epidemia non è in remissione e “parlare di riapertura di alcune attività dopo le feste di Natale mi sembra una pazzia. La terza ondata va prevenuta, non si può stare dietro ai dati attuali, in miglioramento. Vediamo che succede più avanti”. Al momento “c’è un unico antivirale specifico contro questo virus, il Remdesivir sul quale esistono però dati contrastanti (l’Oms, per esempio, lo sconsiglia, ndr). Va utilizzato bene, precocemente e allora dà buoni risultati. Ho la sensazione che si attenda troppo prima di somministrarlo”. E gli anticorpi monoclonali? “Siamo in attesa di sperimentarli anche in Italia. Anche in questo caso andranno utilizzati nelle primissime fasi della malattia”.